15 GENNAIO 1974: DEBUTTA HAPPY DAYS!
Sunday, Monday, Happy Days…!
Se non avete sentito il ritmo di una batteria, il coro e la voglia di elencare il resto dei giorni della settimana è probabile che, in ordine di ipotesi, siate molto, molto giovani, o colti da un momentaneo attacco di amnesia o troppo persi in nostalgici ricordi riguardo a jukebox, ragazzi in giacca di pelle e il compianto Tom Bosley.
Happy Days è una di quelle serie televisive che non conoscono la parola “dimenticatoio”. Se ne stanno lì ad aspettare nuovi fruitori, vestigia di un passato allegro, ballerino e festaiolo, in cui essere giovani era un’opportunità, avere dei sogni una spinta. Questa serie televisiva ne ha regalati tanti di giorni felici, ai suoi spettatori, perfino quando ci fu il famoso “salto dello squalo”, metaforico e fisico, che segnalò l’inizio della fine. La fine della serie, non certo del mito. Restano iconici, e quindi senza tempo, i personaggi da essa sfornati: i borghesi, simpaticamente all’antica ma neanche tanto, coniugi Cunningham. Arthur “Fonzie” Fonzarelli, fan di James Dean, capace di far impennare le vendite di giubbotti di pelle e convincere plotoni di ragazze che il “bad boy” giusto per ognuna si strova accanto ad un jukebox. Richie e Joanie “Sottiletta”, ragazzi come tanti, incasinati, allegri, alla scoperta del mondo (e dell’altro sesso). Il locale di Alfred, dove l’hamburger e i frullati sono sempre un pasto adatto a condire scambi di opinioni e l’organizzazione della festa per l’ultimo anno di liceo. Happy Days è una bolla felice, che concede quella pausa distensiva ma non rimbecillente che apre la finestra su un mondo. Sul periodo d’oro del decennio ’50-’60 americano, in una visione colorata e certamente idealizzata. Non è un telefilm-verità, non documenta i problemi nella campagna americana incalzata dalla concorrenza delle fabbriche di città, né parla dei risvolti sociali portati da due guerre, quella di Corea appena conclusa e quella del Vietnam che si profilava all’orizzonte. La serie sceglie consapevolmente di mantenere un tono giocoso, di concentrarsi sui suoi protagonisti con lo sguardo benevolo di un nonno che osserva i nipoti combinare gli stessi pasticci che faceva lui alla loro età. Non a caso, è stata creata circa un ventennio dopo i fatti narrati. Eppure piacque e continua a piacere vedere la famiglia Cunningham muoversi nel suo ambiente, perchè passeranno pure gli anni, però i problemi a ben guardare sono sempre gli stessi: i figli che non ascoltano, i progetti dei genitori, le incomprensioni generazionali, la ricerca della propria strada. E perchè mai tutto questo dovrebbe avvenire su cupi toni tragici? Nel suo piccolo la serie concede svago e divertimento, prestando certo il fianco all’accusa di ingenuità, ma senza tentare di spacciarsi per quello che non è. Di drammi e momenti difficili ce ne sono a bizzeffe, ma questo tipo di produzione ricorda che esistono anche gli happy days.
Happy Days [Id., USA 1974-1984] IDEATORE Garry Marshall.
CAST Ron Howard, Tom Bosley, Henry Winkler, Marion Ross, Erin Moran, Anson Williams, Al Molinaro, Donny Most.
Sit-com, durata 24 minuti (episodio), stagioni 11.