Se solo quella volta…
Come Sliding Doors, Un ragionevole dubbio è una pellicola che si costruisce con i se: se Mitch quella sera non fosse uscito con gli amici ma rimasto a casa come avrebbe desiderato, se due tizi non avessero tentato di rubare la sua macchina proprio nel momento in cui stava chiamando un taxi per rincasare, forse tutta la sequela di fatti a seguire non sarebbe mai potuta avvenire.
Tutti questi se divengono la base di una concatenazione degli eventi, una serie di casualità che portano al fatidico incidente: omissione di soccorso e guida in stato di ebrezza, imperdonabili per un procuratore distrettuale. Un ragionevole dubbio non diventa un film su due vicende alternative e parallele, ma dal primo incidente ne conseguirà un altro, più grave. Mitch decide infatti di seguire come accusatore il processo cui egli stesso è stato la causa, cercando al contempo però di scagionare un meccanico che ovviamente ritiene innocente, ma che di fatto forse non lo è. I se iniziali fanno sì che la successione di fatti diventi come un castello di carte, tassello dopo tassello gli avvenimenti si trascinano nonostante questi sarebbero potuti crollare fin dall’inizio, ed è proprio questo il più grande limite della pellicola: tutto segue una consequenzialità che sembra non tenere conto di una volontà nei personaggi, ma assume i limiti di una linea retta nella sua concatenazione. O meglio una volontà nei personaggi esiste, il bisogno borghese di difendere la propria famiglia e il proprio status o quella di farsi giustizia da sé, ma sono pretesti per giustificare azioni di personaggi privi di una reale spinta all’agire per un proprio interesse, tutto è così manifesto che la loro motivazione perde significato personale per comporre invece un ritratto il più corretto possibile sull’intimo senso di giustizia. È una facciata buonista e corretta in cui la giustizia privata deve essere inibita, anche quando questa è rivolta verso soggetti deplorevoli, e che la possibilità di agire (sparare) è data solo alle forze dell’ordine. Questa però è solo una superficie ipocrita di un reale bisogno del mantenimento del proprio status quo, che neanche l’accoglimento del fratello reietto nel benestante nucleo famigliare attenua apparendo più come scorciatoia perbenista. Nonostante Un ragionevole dubbio venga firmato dal regista sotto pseudonimo, allo stesso modo alla base sono ritrovabili le interpunzioni narrative già visitate in Sliding Doors, ma il se più importante che viene in mente vedendo quest’ultima pellicola probabilmente è quello che sarebbe potuto essere il film se a comandare gli eventi non fosse una fredda struttura lineare di concatenazione dei fatti, ma come minimo una sentita corrispondenza alle azioni di chi è al centro della vicenda.
Un ragionevole dubbio [Reasonable Doubt, USA 2014] REGIA Peter P. Croudins (Peter Howitt).
CAST Dominic Cooper, Samuel L. Jackson, Gloria Reuben, Erin Karpluk.
SCENEGGIATURA Peter A. Dowling. FOTOGRAFIA Brian Pearson. MUSICHE James Jandrisch.
Thriller, durata 91 minuti.