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Blow-Up (1966)

sabato 29 Marzo, 2014 | di Stefano Lalla
Blow-Up (1966)
Film History
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SPECIALE MODA AL CINEMA
L’ingrandimento aiuta davvero a vedere meglio?
Dopo aver firmato la “trilogia dell’incomunicabilità” e Il deserto rosso, Michelangelo Antonioni aveva ormai consolidato la propria fama di autore anche all’estero. Blow-Up è il primo e più riuscito tra i suoi film in lingua inglese.

Siamo nella Londra del ’66 e il gusto pop di Antonioni è più forte che mai; lo capiamo già dai titoli di testa, introdotti con un pezzo beat con tanto di organo Hammond. Il regista ferrarese ha sempre unito le immagini del benessere consumistico ai temi più esistenziali: in Blow-Up si passa dalle scene più “hip” alle lunghe sequenze mute, dove l’unico commento sonoro è quello del vento.mediacritica_blow_up1a L’interesse per la controcultura giovanile del mondo anglofono compare nelle scene dei mimi-hippie, poche ma importanti. Antonioni non conosceva ancora bene questa fascia demografica, ma ne era affascinato e ha continuato ad analizzarla (o, piuttosto, idealizzarla) in Zabriskie Point. Thomas è al centro della Londra giovane: fotografa donne bellissime e barboni, affronta il reportage di moda e quello sociale con lo stesso atteggiamento giocoso, informale e un po’ cinico. La scelta di un fotografo non è casuale perché Blow-Up è un film-saggio sul voyeurismo e sulla perdita della realtà. Il mestiere del regista può assomigliare a quello del fotografo e in questo film c’è sicuramente qualcosa di autobiografico, soprattutto se si considera il passato da documentarista di Antonioni. Thomas gioca con la sua macchina fotografica mentre va alla ricerca di un paesaggio che lo compiaccia. In una sequenza che deve molto alla Nouvelle Vague, lo vediamo saltellare e correre senza un motivo mentre fotografa i suoi soggetti ignari: una coppia di amanti. Loro non la prendono bene, vogliono che le foto siano distrutte ma, così facendo, stimolano solamente la curiosità di Thomas. Questi sviluppa le foto e comincia a vedere strane forme nei cespugli grigi che prima erano solo macchie di foglie indistinte. Un volto umano mosso, una pistola, forse un cadavere. Il gioco termina e comincia l’ossessione per l’ingrandimento fotografico, che non è mai sufficiente. Thomas è un guardone e un vincitore: non può coinvolgere la legge, deve risolvere da sé il mistero. Il suo voyeurismo si rivelerà inutile: se si fissa il buio abbastanza a lungo, vi si vedrà qualsiasi cosa. Le forme nei cespugli si moltiplicano e la ricostruzione del delitto diventa presto impossibile. Il controllo registico di Antonioni è, come sempre, perfetto. Nella precisione maniacale delle sue sequenze, le poche inquadrature mosse e le famose semi-soggettive si notano all’istante, insinuando in maniera subliminale l’idea che Thomas è spiato a sua volta da qualcuno. In Blow-Up c’è un delitto e c’è un’indagine, ma non è un film di suspense perché la vita del protagonista non è mai a rischio. Piuttosto, Antonioni vuole raccontare l’inquietudine del fotografo e la sua ontologica ossessione per la realtà.

Blow-Up [id., Gran Bretagna/USA/Italia 1966] REGIA Michelangelo Antonioni.
CAST David Hemmings, Vanessa Redgrave, Sarah Miles, John Castle.
SCENEGGIATURA Michelangelo Antonioni, Tonino Guerra. FOTOGRAFIA Carlo Di Palma. MUSICHE Herbie Hancock.
Thriller/Drammatico, durata 111 minuti.

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