Visto che tra pochi giorni si vota per le Europee, e di tutto si parla tranne che di Europa, ne approfittiamo per domandarci: esiste oggi un cinema europeo? Ce lo chiedevamo anni fa anche con Mariapia Comand, in un volume omonimo in gran parte giocato proprio sulla contraddizione: cercare di trovare un’anima europea alla storia del cinema continentale o segnalare onestamente il fallimento di tale ricerca.
Il risultato, credo, fu magari impreciso, spesso velleitario, ma onesto e tutt’ora condivisibile: l’Europa cinematografica non si è mai pensata come una cosa sola, ma non è impossibile identificare alcune tendenze (quella al realismo, per esempio; o la definizione artistica, più che industriale, del prodotto) che hanno avuto lunga vita. E oggi, per esempio da Cannes, che Europa percepiamo? Nessuna, come del resto nessuno si sente davvero europeo al di fuori della moneta unica. Basta andare in vacanza a Parigi e vedere gli italiani che cercano altri italiani per far baldoria, o le enclave etniche ed est-europee di tante metropoli contemporanee. Unità monetaria, unità politica, forse in futuro unità fiscale e militare, ma per cambiare mentalità a una cittadinanza con tradizioni nazionali così profonde ci vorranno almeno due generazioni. Il cinema non è altro che un riflesso di questi condizionamenti.
Per di più, il cinema è una delle merci più globalizzate che esistano. Tra il cinema globale (che una volta chiamavamo Hollywood) e quello locale (Checco Zalone o Dany Boon poco cambia) non esiste più alcuno strato intermedio. O meglio, potrebbe essere costituito dal cinema d’autore internazionale, che però – appunto – è sovranazionale, ma non europeo o europeista. Le superstar del cinema d’autore, da Moretti ai Dardenne, hanno certamente un mercato europeo e spesso anche una co-produzione continentale (pensiamo ai programmi di finanziamento appositi) ma continuano a vivere dentro un universo nel quale abitano anche autori di tutto il mondo, da Wong Kar-wai a David Cronenberg, da Jane Campion a Alejandro Gonzalez Iñarritu, e così via. Del resto, vi è mai capitato di sentire qualcuno affermare “Stasera ho proprio voglia di un bel film europeo?”.
E se poi parliamo di quella sorta di blockbuster europeo che si identifica in una mega-produzione sfarzosa e chiacchierata, con divi, costumi e attori da mezzo mondo – come Grace di Monaco tanto per fare esempi concreti – beh, allora diventiamo tutti euroscettici. Le cinematografie nazionali continuano ad essere il livello più consono per saperne di più di identità contemporanea, e – paradossalmente – per guardare più in là dobbiamo interrogare il cinema del métissage o quello direttamente realizzato da migranti e stranieri residenti in Europa. Loro sì che ci possono raccontare qualcosa di noi.