Superare il passato e rinascere
Nel cinema di Marco Bellocchio è possibile individuare alcuni film che nella vocazione al male, nella riflessione sul “potere distruttivo che ha la Ragione quando essa tenda solo a un’autoaffermazione avulsa da ogni mediazione” (G.P. Brunetta), nell’assenza di taumaturgie, appigli, soluzioni, sono assimilabili a un medesimo percorso di negazione.
A questo “ciclo” fa imprescindibilmente capo l’esordio de I pugni in tasca, che nel fatale processo autodistruttivo del protagonista, il giovane matricida Ale, riflette puntualmente l’ansia e necessità borghese di liberarsi dalle catene “private” della propria ideologia e distruggere gli idola che sorreggono un edificio morale ormai decadente, ma contemporaneamente tradisce l’impossibilità, l’incapacità di essere fautori di una nuova morale, di una rinnovata ideologia, del futuro stesso. La distanza tra Ale, figlio individualista impossibilitato al riscatto, e la figura eroica di Ernesto Picciafuoco, padre libero e coerente ne L’ora di Religione, sembra siderale. Occorreva un fondamentale momento di transizione, e questo momento coincide con Gli occhi, la bocca. Che il film si riconnetta in varia misura a I pugni in tasca, attraverso il comune protagonista Lou Castel e tutta una serie di indizi di metalinguaggio, conferma come il tema centrale voglia essere il distacco dal passato. Tale distacco, per non rivelarsi ingenua illusione, comporta nel film il pagamento di un duplice debito, verso la famiglia – una commovente riconciliazione con la figura materna – e verso l’idea della morte, morte dell’attore in particolar modo, e allusivamente dell’autore stesso. La scomparsa di Pippo, fratello gemello suicida, suscita nel protagonista Giovanni, proiezione di Lou Castel e doppio di Bellocchio, il sentimento di una propria morte simbolica: simbolica perché, a fronte di una rinnovata consapevolezza, nel distacco dalle maschere del passato (valide per lo stesso regista: ribelle, contestatore, arrabbiato, etc.) si colgono gli spunti per una necessaria rinascita, che passa anche attraverso l’incontro con la Donna (una bellissima Angela Molina, i titoli di coda sul suo volto in fermo immagine). Dalla morte dei due fratelli, l’una reale, l’altra simbolica, nasce un terzo individuo, sintesi del piccoloborghese e dell’ormai dimenticato giovane antisociale, capace di conciliare fantasia e pragmatismo, di amare le tradizioni e insieme segnarne il superamento, attraverso una rielaborazione autenticamente personale che troverà ne L’ora di religione la sua vetta poetica. Storia di morte e di ombre, dialogo aperto con i defunti, conciliazione con le imago freudiane, Gli occhi, la bocca lancia un disperato grido di speranza, proprio di chi vuole liberarsi dalla storia di cui è prigioniero, svelare se stesso ai propri occhi, rinascere.
Gli occhi, la bocca [Italia 1982] REGIA Marco Bellocchio. CAST Lou Castel, Angela Molina, Emmanuelle Riva, Michel Piccoli, Antonio Piovanelli. SCENEGGIATURA Marco Bellocchio. FOTOGRAFIA Giuseppe Lanci. MUSICHE Nicola Piovani. Drammatico, durata 102 minuti.