SPECIALE LUC BESSON
Identità fragili
Con la sua quarta pellicola, Luc Besson ci presenta per la prima volta quell’ideale femmineo incarnato in un prototipo di donna dall’indole vigorosa e combattiva, che spesso tornerà nella sua filmografia, da Giovanna d’Arco fino a Lucy.
La Nikita di Anne Parillaud deve fare i conti con un suo presunto passato – a noi negato perché solo misteriosamente evocato da Besson – probabile causa del disadattamento che ce la presenta come tossicomane condannata a scontare un ergastolo per l’uccisione di un poliziotto, fino all’intervento del Governo che le concede una seconda chance. Il seguito della storia è nota: Nikita, nome in codice Josephine, sarà reclutata dai Servizi Segreti, dopo un addestramento di tre anni che la trasformerà in uno spietato killer professionista. L’intensità delle scene di pura azione, elegantemente girate (la celebre sparatoria nelle cucine del ristorante) e gli efficaci momenti di humor grottesco (l’entrata in scena dell’Eliminatore di Jean Reno con la sua valigetta piena di acido per eliminare cadaveri) costituiscono di certo gli aspetti più riusciti della pellicola del cineasta parigino, arricchendola di un magnetismo visivo che cattura subito lo spettatore. Non mancano d’altro canto stonature nello sviluppo della sceneggiatura, conseguenza di un’uniformità a determinati modelli di situazioni e personaggi, dovuta probabilmente ad un mancato approfondimento in fase di scrittura che nemmeno l’intensa prova della Parillaud sembra poter nascondere. Ma forse è proprio qui che entra in gioco l’ambiguità del cinema di Besson: tali aspetti infatti giudicati limitanti sotto una certa ottica, non risultano più tali se visti come scelta di stile. Se è vero che il suo è un cinema vicino alla favola allora sarà proprio la natura di quest’ultima a riequilibrare la storia, donando nuova enfasi a certi passaggi e “alleggerendo” i personaggi dalla propria interiorità così come dal loro passato, rendendoli pura forza espressiva, governati unicamente da un’istintiva naturalità. Certo le incongruenze permangono e la visione di Nikita resta ad ogni modo una visione “scomoda” che richiede uno sforzo di identificazione, districandosi tra il linguaggio della fiaba, appunto, e quello della realtà. Comunque la si voglia vedere, proprio tale aspetto di indefinibilità di Nikita apre il discorso sulla natura dell’identità: quella della protagonista, quella di Besson. Una riflessione questa che difatti caratterizza l’intero approccio cinematografico del regista, sostenitore di un metodo ibrido, frutto della lezione americana ma pressoché vicino allo spirito europeo e figlio di quella spaccatura del cinema francese anni ’80 tra il filone d’autore e quello commerciale. Un cinema dunque, come Nikita, figlio di nessuno, in cerca della propria natura, trovata in una mescolanza provocante e fascinosa di generi ma fragile e pericolosa come una vita sotto falsa identità.
Nikita [id., Francia/Italia 1990] REGIA Luc Besson.
CAST Anne Parillaud, Tchéky Karyo, Jean-Hugues Anglade, Jeanne Moreau, Jean Reno, Philippe Leroy.
SCENEGGIATURA Luc Besson. FOTOGRAFIA Thierry Arbogast. MUSICHE Éric Serra.
Thriller/Azione, durata 115 minuti.