Pilota automatico
Ken Loach è uno di quei grandi registi che ogni tanto sembrano andare avanti col pilota automatico, alternando variazioni più originali della sua poetica e dei temi a cui è più affezionato a più stanche riprese del suo modo tipico di fare cinema.
Jimmy’s Hall fa parte di questo secondo gruppo, ponendosi, pur non essendo in assoluto un film non riuscito, tra le opere meno memorabili ed efficaci della lunga carriera del regista scozzese. Ambientato nell’Irlanda dei primi anni Trenta, reduce dall’onda lunga di una guerra civile lacerante, racconta la storia (vera) di Jimmy Gralton: tornato in patria dopo dieci anni d’esilio americano, decide di riaprire la “hall” in cui offrire alla gente del luogo la possibilità di istruzione, di ballare e di seguire corsi vari (una sorta di circolo culturale, tanto per capirci) e in cui sostenere rivendicazioni politiche e sociali. Già dieci anni prima questa sala aveva causato ostracismi vari da parte della Chiesa e dei conservatori e dell’Ira, ed era stata la causa fondamentale del suo esilio. Dieci anni dopo le cose non cambiano, e l’iniziativa di Gralton riaccende la dura opposizione e la repressione, sempre più violenta, capitanata dall’anziano reverendo del paese. Loach, con la collaborazione in sceneggiatura del fidato Paul Laverty, è abile nel mischiare le vicende private del protagonista con gli effetti della Storia con la S maiuscola, funzionando soprattutto in questo secondo versante: vengono con efficacia a galla le tensioni e le rivendicazioni latenti figlie di una guerra civile mai sopita pronte ad esplodere e lacerare, il ruolo delle influenze culturali americane (viste con occhio positivo dal regista) che consumano, nonostante il forte osteggiamento, l’estremo conservatorismo dell’Irlanda più tradizionale e i ruoli dei gruppi sociali, culturali e politici che continueranno ad infiammare il paese nei decenni successivi. Dove il film funziona meno è, oltre che in qualche eccesso di retorica e di didascalismo, nella definizione dei personaggi così come nel fatto che mancano guizzi, narrativi e stilistici, che sollevino l’opera dalla categoria “onesto film minore di un regista importante”. Tutto sembra professionalmente buttato un po’ lì, la rabbia e la coerenza politica rimangono ma non sono rielaborate adeguatamente come in altre occasioni. In mezzo a personaggi secondari quasi monodimensionali, spicca la figura dell’anziano reverendo, che manovra i fili della repressione: è questo il personaggio più riuscito e interessante, che Loach e Laverty tratteggiano con maggiori sfaccettature e con una connotazione tragica superiore anche a quella del protagonista, e anche con un rispetto “narrativo” che Loach, pur ribadendo con assoluta chiarezza da che parte sta, non sempre ha concesso ai suoi cattivi; come a dire che anche lui è stato una delle vittime della repressione e del conservatorismo.
Jimmy’s Hall – Una storia d’amore e libertà [Jimmy’s Hall, Irlanda/Francia/Gran Bretagna 2014] REGIA Ken Loach.
CAST Barry Ward, Jim Norton, Simone Kirby, Brian F. O’Byrne, Francis Magee, Andrew Scott.
SCENEGGIATURA Paul Laverty, Donald O’Kelly. FOTOGRAFIA Robbie Ryan. MUSICHE George Fenton.
Drammatico/Storico, durata 109 minuti.