SPECIALE ATTORI DIETRO LA CINEPRESA
Fuori, è un mondo fragile
Bisogna sempre tenere a mente quel che si racconta e gli obiettivi ai quali si tende. Sembra banale dirlo ma è necessario che lo spettatore stesso ne sia consapevole: spesso il viaggio di cui un racconto ci rende partecipi non si risolve solo in ciò che appunto ci narra, ma esiste perché ci conduce anche attraverso un iter emotivo e cognitivo.
Il racconto classico, quello dal grande respiro, tale attenzione l’ha sempre avuta bene in mente, tanto che l’uso del sostantivo “viaggio” per indicare il percorso di un eroe non rappresenta solo un vezzo stilistico di chi guarda alla struttura del racconto. È un percorso che deve appunto determinare l’attenzione emotiva (o non) dello spettatore, ma non basta riferirsi direttamente a questa tradizione per esserne automaticamente parte. Prenderne alcuni degli archetipi non è sufficiente, come la disperata ricerca di un padre per i figli dispersi in battaglia, la figura di un lavoratore della terra ritrovatosi in un Paese straniero, il rivolgere lo sguardo ad un altrove spaziale e temporale (qua siamo nel 1919, quattro anni dopo la battaglia di Gallipoli) ricercando nel sapore orientale la forza evocativa necessaria per coinvolgere un dramma in costume. Non basta questo a The Water Diviner per essere un film riuscito, non basta nemmeno la goffa circolarità che racchiude il racconto, che lega all’acqua il ruolo di elemento salvifico e liberatorio passando attraverso il peso della sofferenza e fatica fisica. È una pellicola che nel racconto cerca delle corrispondenze, simmetrie e geometrie, ma sono posticce, troppo artificiali per guidare la ragione del racconto; allora The Water Diviner dovrebbe essere principalmente emozione, ma è proprio in questo che ancora di più miseramente fallisce. È un film che dovrebbe domare, accrescere, le emozioni per poi farle esplodere. In questo si dimostra – nella sua accezione più negativa – l’essere una pellicola diretta da un attore, che addossa al solo primo piano tutto il peso veicolatore dell’empatia, come nel peggior caso di prodotto televisivo, isolando i pochi momenti visivamente suggestivi, abbandonandoli a se stessi. L’epica di un’epopea in costume in The Water Diviner non esiste, se pensiamo solamente a come tutte le sezioni del viaggio di Joshua Connor di fatto siano elise. Ma anche se lo guardassimo dall’altra prospettiva, della dura e faticosa esistenza di un “uomo del Sud” in un mondo devastato nella sua terrosa superficie, prima ancora che dalla sofferenza della morte procurata dal primo scontro mondiale, in questo caso poco ci sarebbe da percepire, perché tutto è raffigurato nella sua impalpabile rappresentazione. The Water Diviner è un film pensato in modo sbagliato, nonostante la solidità delle basi su cui poggia, scontato e pigro nell’emotività. Un film dominato dalla storia che vorrebbe raccontare.
The Water Diviner [id., USA 2014] REGIA Russell Crowe.
CAST Russell Crowe, Olga Kurylenko, Jai Courtney, Yilmaz Erdogan.
SCENEGGIATURA Andrew Anastasios, Andrew Knight. FOTOGRAFIA Andrew Lesnie. MUSICHE David Hirschfelder.
Drammatico, durata 111 minuti.