65° Festival Internazionale del Cinema di Berlino, 5 – 15 febbraio 2015, Berlino
Herzog nascosto dentro Herzog
La storia di Gertrude Bell, nobildonna inglese dal carattere indomabile che, a cavallo di un dromedario e della Prima Guerra Mondiale, contribuirà non poco a mediare fra Occidente e Medio Oriente. Ancora oggi gli arabi considerano il suo diario di viaggio uno dei pochi in grado di raccontare dall’interno e con sincerità il mondo dei beduini e degli sceicchi di inizio Novecento.
In una Berlinale povera di personaggi/autori in grado di smuovere le masse (lo scorso anno Von Trier e Wes Anderson catalizzarono l’attenzione) a farla da padroni quest’anno sono Malick e Herzog: il primo svegliatosi improvvisamente da un torpore che gli aveva impedito di fare più di cinque film in 30 anni, il secondo infaticabile esploratore di un cinema che non esisterà più. Queen of the Desert, in concorso alla 65a Berlinale, sembra dimostrare proprio l’impossibilità di un cinema estremo in contesti dove l’autore ridotto, o elevato, al rango di rock star è obbligato a perpetrare se stesso per soddisfare un pubblico scelto e attentissimo ad ogni caduta/deviazione. Herzog ha sempre rifuggito, senza troppa fatica, da questa classificazione, anche quando tutto avrebbe fatto pensare al contrario (vedi L’alba della libertà) ed è perciò abbastanza doloroso dover parlare di un suo film come di un ottimo prodotto, invece che come un’illuminazione. La regina del deserto da lui descritta è Nicole Kidman, figlia bellissima della Hollywood fin de siècle, che si strugge d’amore raccogliendo, ahilei, pochissimi frutti, che viaggia impavida attraverso il deserto alla ricerca di libertà tessendo le fila dei rapporti fra mondo arabo e Inghilterra (anche se lei negherà sempre di essere una spia agli ordini di Sua Maestà). Un biopic che lascia poco all’immaginazione, limitandosi al racconto. Non basta che Herzog sappia (de)scrivere meglio di altri, perché da lui ci si aspetta sempre che qualcosa infiammi le immagini, avvolgendole di significati che vanno oltre l’idea stessa di “messaggio” autoriale, divenendo emozione personale di ogni spettatore. Sicuramente Queen of the Desert non nasce dalla stesse necessità di Little Dieter needs to fly, Paese del silenzio e dell’oscurità, Fitzcarraldo e via di seguito, ma fa ben poco per farsi ricordare al pari di altri film, anche meno blasonati, del regista tedesco. Se non fosse per le stupende riprese che ogni tanto spezzano il ritmo della trama, alcune mozzafiato in picchiata sul deserto, altre immobili semplicemente da guardare e rimirare, ci si potrebbe quasi abituare alla normalità della regia: ma poi queste riprese arrivano, sorprendendoci, e allora vorremmo che l’opera fosse composta solo da loro, dalla danza curvilinea delle dune, dall’immagine filiforme di una donna che fronteggia il deserto, dalla torre in pietra divenuta roccaforte di un grasso avvoltoio. Ogniqualvolta Herzog abbia fatto ricorso ad attori hollywoodiani per le sue biografie sotterranee il risultato non è mai stato entusiasmante: Christian Bale in L’alba della libertà, Tim Roth in Invincible, non hanno niente a che vedere con i capolavori interpretati da Klaus Kinski o Bruno M. Avrete capito che chi vi scrive aveva riposto aspettative enormi nei confronti del film, ritenendo il regista il più grande autore vivente, quindi non fatevi condizionare oltremodo da queste parole e prendetele come il frutto di un’illusione che continua a vivere in chi, ancora, pensa che il cinema possa rendere il mondo un posto più bello.
Queen of the Desert [id., USA 2015] REGIA Werner Herzog.
CAST Nicole Kidman, James Franco, Damina Lewis, Robert Pattinson.
SCENEGGIATURA Werner Herzog. FOTOGRAFIA Peter Zeitlinger. MUSICHE Klaus Badelt.
Drammatico/Storico, durata 125 minuti.