Negli occhi dell’altro
Ian Gray è un biologo i cui studi si incentrano sull’approfondimento dell’evoluzione oculare. Metafora della conoscenza o ossessione della prima età, gli occhi sono la porta attraverso la quale Ian ha accesso anche agli altri esseri umani, di cui spesso, con l’alibi della ricerca, fotografa le diversissime iridi.
Quando incontra Sofi nel bel mezzo di una festa in maschera, e Sofi fugge al culmine di un amplesso, soltanto i suoi occhi possono permettere a Ian di ritrovarla. Una serie di concomitanti e fortuite coincidenze sembrerebbero suggerire che Ian e Sofi siano nati per stare insieme, e così accade per lungo tempo, ma la conciliazione di due siffatti opposti – Ian incarna la razionalità della scienza, Sofi è convinta che il mondo sia permeato di spiritualità – conduce presto la coppia verso una tragica, mortale separazione. È a partire da qui che il film di Mike Cahill, nuovo nome del filone fantascientifico indie statunitense, sviluppa le premesse per la sua riflessione: a ben vedere la direzione non è diversa da quella del precedente, bellissimo, Another Earth, suo primo lungometraggio, in cui l’ipotesi dell’esistenza di un secondo pianeta Terra, uguale in tutto e per tutto al nostro, dispiegava attraverso il tema del doppio la forza perturbante del dubbio. Anche I Origins tocca lo stesso tracciato: di fronte all’ipotesi che, proprio a partire dagli occhi, una persona riviva e si reincarni in un’altra, tutte le certezze e i dogmatismi scientifici di Ian incontrano un muro contro cui è necessario fermarsi, e fare un passo indietro. Il cinema di Cahill, come quello di Shane Carruth, usa la fantascienza in chiave umanista, suggerendo sempre un altrove fatto di combinazioni e casualità, capace di indirizzare la vita laddove il puro raziocinio non può arrivare. Nei personaggi di Cahill esiste un costante percorso drammaturgico che allenta la possibilità del controllo, e apre finalmente al mistero della vita, all’incontro con se stessi, con le proprie ferite o con quelle degli altri. Cahill asseconda questo arco di trasformazione con una macchina da presa a spalla, sensibile e attenta ai volti, sempre prossima all’azione, e con un uso sapiente della luce che non permette mai alla fantascienza di prevalere sulla sensazione, efficacissima, di realtà. Dopo i titoli di coda, un tocco distopico lascia sullo spettatore un ultimo brivido di stupore.
I Origins [Id., USA 2014] REGIA Mike Cahill.
CAST Michael Pitt, Brit Marling, Astrid Bergès-Frisbey, Steven Yeun.
SCENEGGIATURA Mike Cahill. FOTOGRAFIA Markus Förderer. MUSICHE Will Bates, Phil Mossman.
Fantascienza, durata 106 minuti.