“Del fingere poetando un sogno”
Il “ritorno alla vita” di Wim Wenders possiede la vis tragica di un trattato poetico steso su una brillante tavolozza cromatica che consente al regista di riflettere sul cinema come racconto salvifico tra colpa e riscatto.
Alla fine è tutta questione di sfumature e di “fingere poetando un sogno”. Il film inizia come una favola sospesa tra i mulinelli di neve, prosegue come un racconto di redenzione che si colora di tinte cospirazioniste e si chiude come un apologo dal forte accento melodrammatico. Evocativo mélange del “pittore della luce”, capace di regalare ad ogni oscurità la sua parte d’illuminazione. Non c’è bianco e non c’è nero, solo il quieto divenire che trasfigura il male nel bene lungo una continua osmosi che è anche l’allegoria della sua poetica; e della malinconia della vita, quel “vento freddo” di cui parla Charles d’Orléans che accarezza l’uomo dinanzi uno specchio o quando, ombra tra le ombre, è curvo su un libro. Di questo vive Tomas (James Franco), di parole e solitudine, anche quando sta insieme alla compagna Sara, fantasma tra le righe di un (suo) romanzo. Dopo l’ennesima discussione lo scrittore decide di guidare tra gli spruzzi di neve, ma una slitta gli si para davanti. Un bambino è salvo, e Tomas lo riporta dalla madre, l’altro non ce la fa. Le conseguenze dell’evento avranno dolorose ripercussioni. Quando si discosta dall’indagine del reale scontrandosi coi demoni della fiction, Wenders − dominato dall’ansia poetica − cattura le immagini come in un impasto luministico bruegeliano, in cui il colore mette in evidenzia i dettagli e i fondali paesistici creano un’atmosfera di “allarmante” sospensione, perché, in fin dei conti, l’imprevisto è sempre dietro l’angolo. I piccioni del quadro Cacciatori nella neve siamo noi spettatori, curiosi e unici testimoni dello sfacelo morale che vive Tomas tentando di riabilitarsi alla vita, che subisce Kate − un’intensa Charlotte Gainsbourg − dopo la rielaborazione del lutto, che inevitabilmente tocca Sara e, in modo ossessivo, il fratellino superstite della tragedia. Le acque su cui slittano i corpi-involucro mentre fingono (immaginano) di vivere altre vite, sono specchio della fredda liquidità in cui ristagnano i protagonisti, congestionati dagli eventi ma desiderosi di guardare ad un nuovo orizzonte. Tutti gli elementi del film, delicato nel suo intimo struggimento – dalle musiche di Desplat che sottolineano il pathos con suadenti partiture emotive, alla sceneggiatura di Bjørn Olaf Johannessen, fino al 3D che “sensorializza” il crepuscolare dramma degli affetti – si inscrivono in un disegno complessivo in cui la finzione della scrittura rivaleggia con le aspirazioni personali di rivalsa e riscatto.
Ritorno alla vita [Every Thing Will Be Fine, Germania/Canada/Norvegia/Svezia 2015] REGIA Wim Wenders.
CAST James Franco, Charlotte Gainsbourg, Rachel McAdams, Marie-Josée Croze, Robert Naylor. SCENEGGIATURA Bjørn Olaf Johannessen. FOTOGRAFIA Benoît Debie. MUSICHE Alexandre Desplat.
Drammatico, durata 118 minuti.