SPECIALE PETER BOGDANOVICH
Controllo assoluto
La commedia messa in scena dal regista (Michael Caine) è una di quelle opere che fanno del sincronismo e dei dettagli il loro fondamento. Ma la compagnia teatrale è messa su con molti dubbi, dall’alcol alla paura per la violenza, dalle gelosie all’inettitudine, ognuno ha un suo irrisolvibile problema.
E, com’è proprio del lavoro dell’attore, difficilmente la vita privata riesce a restare fuori dal palcoscenico, a volte arricchisce i ruoli, in questo caso li stravolge. La tournée attraversa gli Stati Uniti e ogni tappa è un gradino in più verso la follia. Se le prime rappresentazioni tengono fede al copione, una delle ultime rappresentazioni, a Cleveland, è pura improvvisazione su battute e oggetti che perdono la loro funzione e sono la parodia degli stessi in stile keatoniano. Se in scena c’è la farsa della farsa, il lavoro di Bogdanovich è a un passo ancora oltre. La struttura del film è chiaramente sinfonica, quattro movimenti basati su due temi, quello della commedia in scena e quello che accade nel retroscena, costruzione artistica e realtà che separate dalle numerose porte della scenografia interagiscono continuamente. È cinema costruito musicalmente, nel primo movimento vediamo solo ciò che c’è dalla parte del pubblico, nel secondo vediamo solo le quinte, nel terzo siamo di nuovo nel pubblico ma il tema è diventato altro, è la somma dei primi due movimenti, il quarto movimento unisce confusione e successo di pubblico, concludendosi con una “cadenza” tipica della commedia, gli anelli di matrimonio mostrati con gioia. Di sicuro il movimento più interessante è il secondo, che nella struttura tipica di una sinfonia è il più creativo e libero: dopo vari incidenti per cui lo spettacolo ritarda l’orario d’inizio, successivamente all’alzata del sipario vengono fuori tra i protagonisti trame di gelosia e invidia per cui gli attori che vanno in scena usano ogni pretesto per tornare dietro le quinte e continuare la zuffa. Non sappiamo cosa accade precisamente sul palco ma quello che vediamo noi sembra il vero spettacolo con tempi precisi e oggetti come pretesti comici, il tutto in silenzio − ogni parola si sentirebbe in platea − risultando in un azione che ha tutti i caratteri di una comica dell’era del muto. Il ritmo dell’intero film è sostenuto, travolgente. Un aspetto interessante sono i movimenti di macchina che nel primo e nel terzo movimento, quindi lì dove la commedia è così come deve essere e lì dove la struttura è stravolta, sono quasi gli stessi: Bogdanovich sta seguendo il suo copione e noi abbiamo modo di osservare tutte le variazioni sul tema e apprezzarle per la loro diversità che sconfina nell’assurdo. Ma è un assurdo innocuo, che sfocia nel riso e non nell’inquietudine, come afferma la battuta che chiude il primo atto «Quando la vita non offre che dolori e incertezze non esiste niente di meglio che un bel piatto di sardine!».
Rumori fuori scena [Noises Off, USA 1992] REGIA Peter Bogdanovich.
CAST Micheal Caine, Carol Burnett, Christopher Reeve, John Ritter.
SCENEGGIATURA Michael Frayn, Marty Kaplan. FOTOGRAFIA Tim Suhrstedt. MUSICHE Roy Budd.
Commedia, durata 101 minuti.