La fine di un mondo
Un opprimente senso di conclusione aleggia attraverso gli schermi di 4:44 Last Day on Earth, il film di Abel Ferrara sulla fine del mondo. Sugli schermi della tv che trasmette gli ultimi programmi dei notiziari che seguono le ore conclusive dell’umanità e sugli schermi dei portatili che servono a videochattare per l’ultima volta con i propri cari, come nella toccante scena del ragazzo vietnamita − lui per lavoro in America − che saluta per sempre la sua famiglia dall’altra parte del globo, accarezzando e baciando il pc. Un’insistenza su questi schermi preparata ad hoc, che comunica come la fine si viva, bene o male, sempre isolatamente, anche se partecipando ognuno della sofferenza altrui.
I due protagonisti Cisco e Skye, invece, si inseguono, si lasciano, si rincorrono, si riprendono, emotivamente e carnalmente, nell’arco di poche ore. I conti in sospeso, le amicizie dimenticate, gli affetti conclusi, tutto si accavalla e si intreccia negli ultimi istanti delle loro esistenze, come se i due dovessero essere la rappresentazione particolare della coppia eterosessuale e occidentale universale. Nel loro loft consumano l’ultimo pasto, fanno l’amore, dipingono, ballano, si stringono l’una all’altro per concludere il loro percorso di vita nel modo più sereno possibile. Intanto il mondo che è fuori prega, si dispera, cerca il suicidio, non crede a ciò che sta accadendo. Il motivo di questa fine è attribuito a un imprecisato assottigliamento dello strato dell’ozono; una catastrofe climatica, insomma. Il film di Ferrara ha però un problema: si tratta di un’inconsistenza formale che lo rende troppo caricaturale; i temi trattati sono enormi e delicatissimi e cadere nell’autofagocizzazione è un rischio troppo presente. Il quotidiano come dato pregnante del reale è messo in scena in un modo che fa decadere tutto ciò che osserviamo, come filtrato da una dimensione simbolica che vuole essere presente ma che è come se non ci fosse. Per rappresentare le ultime ore dell’umanità bisognerebbe forse non parlare dell’uomo per poter dire il più possibile ciò che l’uomo sente e pensa. Bisognerebbe far parlare il cinema per lui, è questo in fondo quello che manca al film di Ferrara: troppe poche parole in bocca al cinema e troppe in quelle degli uomini. Ciò che resta di veramente buono è, con un paradosso (tenendo conto di ciò che abbiamo visto fino a quel momento), il fatto che la fine del film sia la fine del mondo, con lo schermo che nel finale diventa bianco (il bianco del cataclisma climatico) sancendo quel termine totale vissuto prima o poi dallo spettatore ogni volta che assiste a un film; la fine di un film è infatti ogni volta come la fine di un mondo. O meglio: è La fine del mondo.
4:44 L’ultimo giorno sulla Terra [4:44 Last Day on Earth, USA/Svizzera/Francia 2011] REGIA Abel Ferrara.
CAST Willem Dafoe, Shanyn Leigh.
SCENEGGIATURA Abel Ferrara. FOTOGRAFIA Ken Kelsch. MUSICHE Francis Kuipers.
Drammatico, durata 84 minuti.