Parole parole parole
“Chi cazzo lo vorrebbe un PC?”; “Chi ha detto che il cliente ha sempre ragione, era un cliente”; “Non sanno che cosa stanno guardando e perché gli piace, ma lo vorranno”, e si potrebbe continuare per molto data la quantità di frasi ad effetto pronunciate da Steve Jobs nel nuovo film di Danny Boyle.
Geniale, visionario, irascibile, sprezzante, caustico, il fondatore della Apple è stato raccontato molte volte: figura controversa, ammantata per alcuni da un’aura quasi mitologica, uomo dal carattere difficile – “i tuoi prodotti sono migliori di te” (Steve Wozniak dixit) – che presentava il primo Macintosh come l’evento più importante del XX secolo insieme alla vittoria degli Alleati. Lo smisurato ego di Jobs non è però ancora sostenuto e legittimato da un pieno successo commerciale, anzi, e i dubbi del consiglio di amministrazione di Apple sono tanti: “Vedremo se sei Leonardo da Vinci o se credi solo di esserlo”. Lo sceneggiatore Aaron Sorkin con Steve Jobs ha cercato di replicare il buon risultato (che gli valse l’Oscar per la Miglior Sceneggiatura Non Originale) ottenuto con The Social Network (2010) che, sotto la sapiente regia di David Fincher, raccontava con toni quasi da thriller nascita, sviluppo, controversie legali di Facebook, e soprattutto tratteggiava un ritratto pubblico e privato di Mark Zuckerberg. Il pregio del suo copione è nella scelta di affrontare un biopic su una figura iconica come Steve Jobs concentrandosi solo su tre momenti mostrati quasi in tempo reale: dalla presentazione del primo Mac nell’84 a quella dell’iMac nel ’98, passando per il lancio del NeXTcube nell’88. Dunque l’evento, il potere del marketing, la creazione dell’attesa, il pubblico – pronto a diventare consumatore – estatico di un teatro che accoglie Jobs come una rockstar, ma non solo: il film infatti ci racconta i minuti che precedono le presentazioni, gli incontri e i litigi di Jobs con i colleghi di lavoro, il rapporto con la direttrice del marketing Joanna Hoffman (l’unica che riesca a tener testa a questo tiranno in dolcevita nero e orrende scarpe da ginnastica), i conflitti con la madre della sua prima figlia, Lisa, di cui nega la paternità. Ancora una volta lavoro e vita privata si incrociano, come in The Social Network, ma la struttura del film di Boyle è eccessivamente artificiosa, e i dialoghi dal ritmo serrato, pure troppo, spesso scadono nella verbosità. Volutamente ripetitiva – gli stessi personaggi, per tre volte nell’arco di quattordici anni, tutti sempre impegnati in un continuo ring verbale – la sceneggiatura prende per sfinimento anche il pubblico, e per i non adepti è ancora più difficile rimanere interessati quando il gergo si fa più tecnico tra il “direttore d’orchestra” Jobs e alcuni suoi “musicisti” come Wozniak e Andy Hertzfeld. Di un film dimenticabile rimane impresso il vano augurio di un’esasperata Hoffman rivolta a Jobs: “Guarda che si può essere corretti e geniali contemporaneamente”.
Steve Jobs [id., USA 2015] REGIA Danny Boyle.
CAST Michael Fassbender, Kate Winslet, Seth Rogen, Jeff Daniels.
SCENEGGIATURA Aaron Sorkin. FOTOGRAFIA Alwin H. Küchler. MUSICHE Daniel Pemberton.
Biografico, durata 122 minuti.