La pochezza della Moltezza
Come Re Mida, tutto ciò che tocca la Disney diventa oro. Il tintinnio sonante dei megaincassi non è però per forza sinonimo di qualità, ovviamente. Nonostante in molte sale le proiezioni vengano introdotte dai “Disney Pre-Show” (che danno la misura della potenza raggiunta dalla multinazionale americana), la strategia di invasione dell’immaginario collettivo in atto spesso non viene percepita dal pubblico.
È un’ondata inarrestabile, incontrovertibile: la Disney è Tini/Violetta, è la Pixar, è la rinascita di Indiana Jones, è il Marvel Universe… ed è Star Wars, esempio lampante dello sfruttamento intensivo e della logica votata al franchise della casa di Burbank. Se da un lato la riesumazione della saga ha del miracoloso (e solo la Disney avrebbe potuto permettersi un investimento del genere), dall’altro il progetto di espansione inizia già a far storcere il naso, dinnanzi ad esempio allo spin-off Rogue One, che risponderà al quesito – mai richiesto – di come Leia sia venuta in possesso dei piani della Morte Nera. Ciò che forse più spaventa della programmaticità Disney è la sua incapacità di porsi un freno, che si tratti di lasciare il tempo ad un classico di diventare tale o di snaturare un testo di riferimento, un originale che sistematicamente viene ridisegnato in virtù di una facile commercializzazione. Prendiamo Alice in Wonderland, probabilmente il punto più basso delle carriere di Tim Burton e di Johnny Depp: del romanzo di Carroll (trasposizione animata compresa) non v’è traccia. Neanche la più lontana: la bimba curiosa della fiaba diventa un’eroina fantasy, il Cappellaio Matto assume un ruolo centrale ingiustificato (oltre che le sembianze di un 50enne col cerone costretto a sorridere, sfigurato dalla CGI), il respiro lisergico crolla sotto il peso dell’estetica da teen movie. Ma un film deve altresì poter stare in piedi da solo, indipendentemente dal medium da cui è tratto. Se solo lo facesse… Alice attraverso lo specchio si poggia su una trama esile esile, del tutto pretestuosa: il Cappellaio ha perso la sua Moltezza (e quindi deo gratias ci risparmia lo scempio della deliranza), e Alice viaggia nel tempo per salvare lui e la sua famiglia, vittime di un temibile villain. La messinscena del regista James Bobin – che prende lo scomodissimo testimone da Burton – vive di suggestioni riciclate: Pirati dei Caraibi, Hugo Cabret, persino Transformers e le opere del pittore Arcimboldo. Un frullatone che ammazza la fantasia, che premastica ogni “visione” e ogni volo pindarico, guidandoci alla moralina dell’importanza del tempo e del recupero dei valori familiari. Tutto qua? Tutto qua, davvero. Ma il revisionismo disneyano non è che agli esordi: nei prossimi anni ci attendono i live action di La bella e la bestia (con Emma Watson), La sirenetta (con Chloë Moretz), La spada nella roccia e Crudelia De Mon (con Emma Stone). Il peggio deve ancora venire.
Alice attraverso lo specchio [Alice Through the Looking Glass, USA 2016] REGIA James Bobin.
CAST Mia Wasikowska, Johnny Depp, Anne Hathaway, Helena Bonham Carter, Sacha Baron Cohen.
SCENEGGIATURA Linda Woolverton (tratta dal romanzo Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò di Lewis Carroll). FOTOGRAFIA Stuart Dryburgh. MUSICHE Danny Elfman.
Fantastico/Avventura, durata 113 minuti.