Attraverso lo specchio
La serie racconta, tra fantascienza, horror e thriller, come nel 1983 a Hawkins, tranquilla cittadina dell’Indiana, prendano a verificarsi una serie di inspiegabili eventi, primo fra tutti la scomparsa del giovanissimo Will Byers, sulle cui tracce si lanciano la madre Joyce, lo sceriffo Jim Hopper, e i tre migliori amici di Will, Mike, Dustin e Lucas, destinati ad allearsi con una misteriosa coetanea, in fuga da un laboratorio ai confini della città e dotata di poteri telecinetici.
A partire da queste premesse, concentrate senza sosta già nel primo episodio, la serie muove da una parte in direzione dell’avventura fisica, tangibile, eludendo le cadute grazie a una scrittura molto limpida e a una formidabile squadra di interpreti, dall’altra tinge di paranormale i percorsi dei suoi personaggi. In questo quadro, in molti hanno saputo apprezzare un denso gioco di rimandi ai film di Spielberg, Carpenter, Dante, agli adattamenti dei romanzi di Stephen King, oltre che, ma tutto andrebbe approfondito sequenza per sequenza, a un’indimenticata stagione musicale: Clash, Joy Division, Jefferson Airplane, Echo & the Bunnymen, e altri ancora. Lo stesso spazio d’azione – la provincia, la scuola, il bosco e i suoi rifugi, la stazione della polizia, il laboratorio segreto – si nutre di questa risonanza simbolica, individuale e collettiva, ma non la ricostruisce per il gusto dell’ammiccamento ludico o nostalgico. Piuttosto la rimette in moto perché, ora e qui, ha fede nel suo mistero: così accade che gli anni Ottanta siano il Romanticismo della nostra biografia, e che Stranger Things stia a questo bizzarro assunto come, per dire, Mad Men documentava un altro tempo e un’altra gestione dell’esistente. Stranger Things ci dice qualcosa che già sapevamo da Twin Peaks, scegliendo di depotenziarne però l’autorialità in funzione del racconto: e cioè che esiste una parte della nostra vita che sta sotto la nostra vita, un mondo oscuro abitato da mostri, e che per attraversare lo specchio, riconoscerne entrate e uscite, bisogna abbandonarsi all’innocenza dell’immaginazione, mettendo da parte ironia, cinismo, saccenteria, guarda caso baluardi dell’anaffettività (contemporanea?). Questo calore, questa invocazione di autenticità ancora possibili, che in Stranger Things fanno coincidere alla massima assurdità il massimo grado di vera commozione (un plauso alla prova di Winona Ryder), e al gore preferiscono la mai rimpianta suspense, sono la prima attesa che la serie colma e, ci si augura, continuerà a colmare in futuro.
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