“Sospetto che ci sia altro nella vita oltre a essere bello bello in modo assurdo” (Derek Zoolander)
Nel 2014, Leonardo DiCaprio era ancora senza Oscar, ma fu nominato rappresentante delle Nazioni Unite per il cambiamento climatico per il suo decennale attivismo nella difesa dell’ambiente. Fisher Stevens lo ha seguito per documentare il suo incarico di rappresentanza nei luoghi del pianeta dove il problema si fa più acuto, come la Groenlandia, la Cina, l’India e altre nazioni che si fanno avanguardia nella ricerca sulle energie rinnovabili.
La responsabilità maggiore viene attribuita alla classe dirigente degli Stati Uniti, esportatrice di un modello d’impresa individualista e dal respiro corto, e della classe media, come esempio di vita malsana e non sostenibile. Fin qui nulla di nuovo ma nemmeno di disdicevole. Il Trittico del Giardino delle delizie di Hieronymus Bosch incornicia il film con un ricordo personale di DiCaprio, che racconta come da bambino ne scrutasse i particolari sul poster che aveva in camera. L’inferno sul pannello di destra serve da monito per ciò che ci succederà se non cambiamo i nostri modelli di consumo. Quella di Bosch è l’unica sequenza dove il narratore aggiunge a Punto di non ritorno un’impronta personale, motivando la sua presenza oltre a mettere a disposizione il proprio volto celebre. Per il resto del film, DiCaprio non farà altro che intervistare personaggi eccellenti, da Barack Obama a Papa Francesco, passando da una Blue Steel a una Magnum nell’occasionale piano di ascolto. L’attore non interviene mai – e come potrebbe? − se non per esprimere sgomento. “Sembra un’opera d’arte” è il suo unico commento davanti al computer che monitora i flussi delle correnti marine, prima di tornare in silenzio per lasciar parlare l’esperto di turno. Nonostante il titolo, Punto di non ritorno non è affatto un film apocalittico ma lascia nello spettatore un messaggio di speranza e, soprattutto, perpetua l’idea che siano i piccoli gesti quotidiani come la raccolta differenziata a fare la differenza. È un film che ci solletica dividendo il mondo in buoni e cattivi ma non ci spaventa mai. Fisher Stevens si concentra molto sui paesaggi modificati dall’azione umana ma evita di mostrare la sofferenza degli individui. Vediamo fabbriche a perdita d’occhio e interi ghiacciai che crollano ma, per quanto impressionanti, si tratta d’immagini già viste, che faticano a colpire all’interno di un film che soffre la mancanza di un’impostazione narrativa forte. Punto di non ritorno, che negli USA è uscito a ottobre, è da inquadrare come parte di quell’endorsement fallimentare col quale tante personalità dello spettacolo hanno sostenuto Hillary Clinton. L’impegno di Leonardo DiCaprio non è da biasimare ma appare ancora più vano alla luce dei risultati delle elezioni politiche, che vedono trionfare un Presidente che sostiene che il cambiamento climatico sia un’invenzione.
Punto di non ritorno – Before the Flood [Before the Flood, USA 2016] REGIA Fisher Stevens.
SOGGETTO Fisher Stevens. FOTOGRAFIA Antonio Rossi. MONTAGGIO Brett Banks, Geoffrey Richman, Abhay Sofsky, Ben Sozanski.
Documentario, durata 96 minuti.