Rubare ai poveri per dare ai morti
Hanno dieci, venti, qualcuno trent’anni. Abitano a Napoli, nei quartieri difficili, nei ghetti creati (invano) per tenere lo sporco fuori dal centro. Sono adulti con il volto di ragazzi, il cui sogno è avere un kalashnikov, guadagnare duemila euro ogni 24 ore e non “faticare” un solo giorno.
Loro sono i protagonisti di quel fenomeno oggi conosciuto come “la paranza dei bambini”. Proprio quando la parabola televisiva di Michele Santoro sembrava destinata a compiere il suo arco discendente verso il trash, la travaglite acuta, lo scontro abbrutente che fa share, ecco che il giornalista d’inchiesta torna a fare il suo dovere: documentare senza apparire, lasciare che siano le parole (o le immagini) a parlare. Robinù, presentato a Venezia 73, è il prodotto di un lavoro coraggioso, non tanto nella forma, quanto nella scelta di elidere il filtro solitamente posto a difesa dello spettatore. Senza preliminari si viene catapultati dentro un mondo nuovo, anzi vecchissimo, i cui confini sono segnati dal grado di libertà di cui gode ogni personaggio. Il baby killer imprigionato, la mamma che si reinventa corriere della droga, costretta agli arresti domiciliari assieme al figlio neonato, i genitori liberi che organizzano spettacoli pirotecnici clandestini per salutare i detenuti. Guardare il documentario di Santoro è come determinare l’età di un albero contando i segni del tronco tagliato. Ormai l’albero è morto, quindi non resta che capire in quale punto è cresciuto, lasciando una traccia che al tempo stesso prepara il futuro e blocca il passato. Come il dente ricostruito di Michele, che buca lo schermo ad ogni sorriso, prima di lasciare spazio al racconto straziante di guerre per il potere, o per la noia, di un fratello disconosciuto che ha scelto di lavorare, di Natali inesistenti e di morti violente. Scavando nelle storie, Santoro si mette ai lati del mito televisivo di Gomorra, tra le fila degli ultimi, dove la violenza è l’unica fonte di potere e dove non esistono eroi, gangster, capi clan ma solo sconfitti. Ma la distanza più grande da tutto il mondo finzionale che in questi anni ha raccontato Napoli, e di cui anche Robinù non è totalmente straniero, sta nella scelta delle immagini di repertorio e dei filmati di famiglia. Nel ghigno del bambino sulla locandina possiamo leggere già tutto: la violenza come gioco, i legami interrotti, l’ultimo bagliore di incoscienza impresso in un’istantanea granulosa in bianco e nero, il rimpianto del passato. Accanto, un ragazzo armato di pistola in mezzo alla strada sta per sparare.
Robinù [Italia 2016] REGIA Michele Santoro.
SOGGETTO Michele Santoro, Maddalena Oliva, Micaela Farrocco. FOTOGRAFIA Raoul Garzia, Marco Ronca. MUSICHE Lele Marchitelli.
Documentario, durata 91 minuti.