Il gigante buono
Presentato in anteprima al 35° Bergamo Film Meeting dopo un passaggio alla Berlinale 2015, e distribuito in Italia dalla Movies Inspired, sempre attenta a cogliere film di genere in qualche modo particolari e originali, Virgin Mountain di Dagur Kári è un film che emerge dalla convenzionalità della storia raccontata trovando originalità e interesse nei particolari e nei singoli aspetti, che siano l’atmosfera, una maniera di affrontare il passaggio narrativo risaputo o la laconicità dell’umorismo di certi momenti.
La “Virgin Mountain” del titolo è Fùsi, uomo sulla quarantina dalla corporatura massiccia rimasto un po’ bambino, tanto sensibile e incapace di fare male ad una mosca quanto evidentemente un po’ disagiato, emarginato e solo. I suoi passatempi sono ricostruire con i modellini la battaglia di El Alamein e ogni venerdì chiedere una canzone metal alla radio dopo aver cenato nel solito ristorante cinese. Bullizzato dai compagni di lavoro, soffocato dalla petulante e possessiva madre e malvisto per la sua stranezza, trova un appiglio incontrando una donna all’apparenza brillante, ma che mostrerà di non essere totalmente in pace con se stessa, cosa che però aiuta ulteriormente il protagonista nella sua crescita e nella sua presa di consapevolezza. Una storia di rinascita, quasi un racconto di formazione, quindi di per sé abbastanza risaputa, non lontana per esempio da certo indie statunitense. Come accennato però Dagur Kári riesce a salvare il film dalla trappola del già visto nei dettagli e nei singoli momenti; per esempio esaltando le fredde atmosfere islandesi, allo stesso tempo affascinanti, respingenti e stranianti, rendendole sfondo perfetto per i percorsi del protagonista e della sua partner e per il loro essere outsider. Del resto il regista islandese, a partire dal suo film più celebre Noi Albinoi, ha sempre raccontato di outsider, per scelta o per necessità, intrappolati nel freddo dell’affascinante e ostica isola; caratteristica questa che lo avvicina in qualche modo al magistero di Aki Kaurismaki (anche se nel regista finlandese c’è una marginalità più “sociale”, mentre qui è più “interiore”), dal quale riprende anche l’umorismo laconico e paradossale, altro punto di forza del film. Virgin Mountain merita però soprattutto per come affronta di petto certi momenti di maggiore disperazione e disagio e per come evita scorciatoie retoriche e furbe, fino ad arrivare ad un finale a doppio taglio; non è davvero un happy end – anzi, è una chiusa amarissima – pur essendo il punto d’arrivo della rinascita del protagonista e del suo percorso. Un finale in cui si mescolano toni e sensazioni e in cui lo spettatore non sa se essere felice per il protagonista rinato o se intristirsi con lui.
Virgin Mountain [Id., Islanda/Danimarca 2015] REGIA Dagur Kári.
CAST Gunnar Jónsson, Ilmur Kristjánsdottir, Sigurjòn Kjartansson, Franziska Dagsdóttir.
SCENEGGIATURA Dagur Kári. FOTOGRAFIA Rasmus Videbaek. MUSICHE Slowblow.
Commedia/Drammatico, durata 93 minuti.