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Intervista a Silvio Soldini

lunedì 17 Luglio, 2017 | di Andrea Moschioni Fioretti
Intervista a Silvio Soldini
Premio Sergio Amidei
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36° Premio Sergio Amidei, 13 – 19 luglio 2017, Gorizia

Il rispetto della realtà
Premio all’opera d’autore del 36esimo Premio Sergio Amidei di Gorizia a Silvio Soldini, un regista che ama raccontare, fin dagli esordi, il nostro Paese attraverso personaggi, uomini e soprattutto donne, che sono il vero motore delle vicende che vivono. Un regista rispettoso di attori e luoghi, esplorati sia attraverso la finzione che con i tanti documentari in cui ha scoperto un nuovo modo di approcciarsi ai tempi che cambiano.

Il Premio Sergio Amidei è dedicato alla sceneggiatura cinematografica: per te che sei sia regista che sceneggiatore dei tuoi film come funziona la vita sul set? Ci sono momenti in cui è difficile dover modificare la sceneggiatura o c’è un vantaggio da questo doppio ruolo che porta a sentirsi più “liberi”?
mediacritica_intervista_silvio_soldini_290Eh, chi lo sa? Questo non posso saperlo perché, appunto, da sempre ho scritto e diretto i miei film. Però quello che cerco di fare è un lavoro con gli attori prima di arrivare sul set, per sviscerare finda subito dubbi o quant’altro potrebbe verificarsi in seguito. Se decido di fare dei cambiamenti, scelgo di farlo prima. Sul set il tempo è sempre molto poco e ci stanno sempre di più obbligando a fare le cose in “economia”, quindi i film devono essere girati più velocemente. Lasciare delle decisioni importanti, anche su dialoghi o caratterizzazioni, sul set è una cosa da evitare perchè non c’è proprio tempo di pensarci. Però sì, spesso c’è qualcosa che si cambia, ma tendenzialmente sono delle cose che posso intuire possano essere modificate già in fase di sceneggiatura. Non sono uno di quelli che la mattina si sveglia e decide di stravolgere completamente il dialogo di una scena come fanno altri miei colleghi, ripeto, piccole cose già “rielaborate” prima. Preferisco, in quel momento magico del set, occuparmi della messa in scena, dei movimenti di macchina, concentrarmi sulla regia senza dimenticare che il film lo conosco già bene visto che l’ho anche scritto.
In queste settimane è nato un dibattito critico intorno al cinema italiano bollato come troppo uguale a se stesso, con film come Fiore, La ragazza del mondo, Cuori puri che raccontano realtà simili e “stereotipate”. Una mancanza di coraggio nel raccontare nuovi personaggi o situazioni o solo coincidenze? Tu che non hai mai seguito le mode come vedi questa polemica?
Non penso che in questo momento ci siano delle mode. È vero che i film che hai citato hanno delle somiglianze, ma sono pochi elementi che non creano delle mode, anche perchè, purtroppo, sono pellicole che non hanno incassato molto. C’è un interesse reale di alcuni registi e sceneggiatori per tematiche sviluppate in modo diverso che però si assomigliano, ed è un po’ quello che da sempre ha caratterizzato il nostro Cinema. Un dialogo continuo. La cosa che mi sconcerta è che poi il pubblico non vada a vedere questi film, se manca il pubblico per il nostro cinema prima o poi morirà ma questa volta veramente. I soldi saranno sempre meno e la possibilità di fare film, non perché sia obbligatorio essere “ricchi” per realizzarli ma perché i budget sono più risicati, sarà sempre più ridotta. Tempistiche veloci e meno soldi per lavorare in serenità. La cosa è molto triste…
Sei anche un attento regista di documentari, un mondo più libero e che ti permette di sperimentare…
Il documentario lo inventi facendolo, non c’è sceneggiatura, quando leggo presentazioni di documentari lunghe come dei veri soggetti mi spavento perché invece il mio approccio è diverso: la cosa bella del documentario è proprio entrare all’interno di un mondo che non conosci e andare a scoprirlo frequentandone i protagonisti. Come quando fai un viaggio e torni con le fotografie da mostrare agli amici. Scoprire e arricchire le proprie conoscenze, per quanto mi riguarda è molto importante, a volte trovo delle cose che poi riutilizzo anche nella finzione. Però fare un documentario è andare a raccontare un mondo nuovo, mentre nella finzione si mette in scena un mondo che per forza di cose sarà sempre finto e già “visto”. Simulare di mettere inscena la vita di un muratore che abita in una casa da muratore non sarà mai come entrare a contatto con un vero muratore. Deve sembrare vero ma non lo sarà mai. Il documentario invece aspira a narrare la verità, devi cercare di intrometterti il meno possibile, ma allo stesso tempo devi vivere quello che racconti. Un po’ come quando entri in un fiume: se lo fai a piccoli passi eviti di smuovere troppo le acque. Ma come sappiamo ci sono anche i finti documentari o quelli in cui c’è la manipolazione del regista, la linea tra finzione e documentario quindi qui è molto sottile ma non la trovo onesta nei confronti dello spettatore. La difficoltà è cercare di non violare quello che filmi, perché comunque una cinepresa posizionata in un certo modo “modifica” la realtà, per questo io ultimamente preferisco utilizzare camere a mano e i personaggi si rivolgono a me: io sono anche l’occhio che li guarda. Penso che sia una delle cose che mi funziona di più. Un complicità tacita ma concreta, evitare di chiedere troppo per scansare un coinvolgimento troppo psicologico. Massaggiare ma non andare troppo in profondità. Questo è il segreto.

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