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Ore disperate (1955)

sabato 30 Settembre, 2017 | di Erasmo De Meo
Ore disperate (1955)
Speciale Ospiti Inattesi
1
Voto autore:

SPECIALE OSPITI INATTESI
Chi ha voglia di uccidere?
Sembra non ci sia mai nulla di sbagliato in un film di Wyler, così come non c’è mai nulla di fuori posto in un’interpretazione di Humphrey Bogart.

Questo Ore disperate è un thriller classico, dove la regola, il mestiere, l’iconografia maturata nei primi cinquant’anni di cinema danno mostra del loro oliatissimo meccanismo: non c’è frizione, né attrito e il film scorre con naturalezza, con agilità. Si gusta non come un piatto di alta cucina, ma come un ordine in una steakhouse di provincia, dove i cuochi non cucinano altro da decenni e conoscono ogni segreto dei loro ingredienti.mediacritica_ore_disperate_290 Siamo in pieno Midwest, ad Indianapolis, tre uomini sono evasi dalla prigione di stato e sono in cerca di una casa in cui nascondersi ed aspettare di ricevere denaro dai loro contatti. Una bicicletta riversa in cortile attira la loro attenzione su casa Hilliard, dove Daniel, la moglie Ellie, la giovane Cindy e il piccolo Ralph stanno per cominciare una comune giornata di studio e lavoro. A capo dei tre criminali c’è Glenn Griffin (Bogart) che sembra coordinare facilmente le mosse di suo fratello Hal e del goffo e nevrotico Kobish, il più istintivo dei tre. Secondo i loro programmi resteranno in casa solo fino a mezzanotte quando, ricevuti i soldi, potranno andar via e far perdere le loro tracce, ma qualcosa va storto, gli animi si fanno più irrequieti, le intimidazioni più violente e gli equilibri vacillano. “Click-clack” è il suono che Griffin sente provenire dalla mente del signor Hilliard, costantemente impegnato a pianificare e prevedere: la partita si gioca tra loro due, con un attento calcolo di azioni possibili e reazioni attese. È sul loro confronto-scontro che Wyler e collaboratori investono la parte centrale del film, quando ciascun personaggio lascia intravedere, nelle incrinature del modello “buoni contro cattivi”, un’umanità condivisa e una possibilità di identificazione altrimenti imprevedibile. Daniel ammette di capire cosa vuol dire aver voglia di uccidere e dice di sentirsi uguale a Glenn, di poter essere come lui, il fratello di Glenn prova visibilmente pietà per le loro vittime e la sua attrazione per Cindy non è altro che nostalgia di normalità e stabilità. È lui a percepire più di altri quanto la loro intromissione stia alterando l’ambiente familiare, è lui l’unico a sentirsi estraneo da ogni possibile ruolo, ma è lui a testare sulla propria pelle quanto non sia possibile essere ambigui in una società che costringe a non vedere i mezzi toni: o nero o bianco e l’asettica polizia, nel ruolo di fredda esecutrice, non è altro che la personificazione di questo rifiuto di contaminazione. Eppure paradossalmente il film dice altro: l’irruzione dei criminali ha portato effetti positivi nella famiglia Hilliard, ha accresciuto l’amore tra padre e madre, ha dimostrato che Ralph non è più un bambino, ha dato a Cindy e al suo fidanzato Chuck la credibilità necessaria per pensare al loro matrimonio. Vien quasi da chiedersi: i Griffin erano criminali o camuffati benefattori?

Ore disperate [The Desperate Hours, USA 1955] REGIA William Wyler.
CAST Humphrey Bogart, Fredric March, Martha Scott, Dewey Martin.
SCENEGGIATURA Joseph Hayes. FOTOGRAFIA Lee Garmes. MUSICHE Gail Kubik.
Thriller/Noir, durata 108 minuti.

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