Il borghese annoiato
Per chi come il sottoscritto, pur individuandone l’importanza storica, non ha particolarmente amato il cinema di Godard (preferendo l’ambiguità e il grottesco di Chabrol), vedere Il mio Godard è un’esperienza divertente e allo stesso tempo edificante.
Hazanavicius dipinge un ritratto ironico e in alcuni momenti spassoso del regista franco-svizzero, scardinando alcuni assiomi per i quali Godard debba per forza essere considerato un genio.
Come già detto, si riconosce l’importanza storica dei suoi lavori spesso soprassiedendo sulla sua figura privata, prepotentemente autocompiaciuta e strafottente nei confronti di tutto. Un certo snobismo autoriale di molta intelligentia di ieri e di oggi da superare. Il racconto, diviso in capitoli che descrivono perlopiù l’umore del momento, mescola rimandi allo slapstick − le tante cadute con relativa rottura degli occhiali di Godard − a piacevoli sequenze metacinematografiche con tanto di sguardo in macchina, ironiche su ciò che stiamo vedendo (come quella sul senso di girare scene di nudo al cinema). Non tutto funziona, soprattutto la caratterizzazione dei personaggi secondari e gli stereotipi della vita intellettuale, ma comunque si entra in empatia con la vicenda facilmente. Raccontando la storia d’amore tra Jean-Luc e Anne Wiazemsky (recentemente scomparsa), Il mio Godard ci restituisce anche uno spaccato di un periodo storico ben delineato, quel ’68 mitizzato e ancora poco “digerito”. Un idealismo di base che sembra oggi lontanissimo, ma che se guardato da più lati ha posto le basi per gli anni a venire, confusi e assurdi come alcune frasi pronunciate da Godard stesso.
Una commedia sì ma con numerosi spunti di analisi: una messa in scena che sfrutta l’uso del colore e della luce per riportarci in un passato prossimo in cui il cinema “stava per morire”, ma sapeva ancora sorprendere e scuotere le platee. Il regista scocciato diventa così l’emblema di un certo modo di vivere e di una categoria ancora attuale: il borghese annoiato che si illude di poter scendere tra la gente per fare la rivoluzione, ma in realtà vive in un mondo irreale e basato sul proprio status elitario. Non è una dissacrazione di un mito o una denigrazione fine a se stessa come alcuni hanno detto: Hazanavicius ha cercato di umanizzare il cineasta attraverso le parole e lo sguardo della sua giovane moglie che come gli studenti delle assemblee sessantottine non lo comprendono. Forse neanche noi l’abbiamo mai veramente capito?