Mare Nostrum
La tredicesima edizione di Passaggi d’autore. Intrecci mediterranei ha offerto un programma di cortometraggi di alto livello. Decisiva per la riuscita e il valore della manifestazione è la scelta di non focalizzarsi su un tema troppo specifico e allo stesso tempo non essere un contenitore generico di corti “un tanto al kilo”.
Concentrarsi sul “Mediterraneo” permette da un lato di non avere troppi vincoli e di poter così offrire la giusta varietà di tipologie e stili, e dall’altro di essere contemporaneamente coerenti e con una propria identità, riuscendo anche a suggerire punti di contatto, affinità e tendenze comuni alle cinematografie mostrate. C’è per esempio una questione che salta subito all’occhio affiancando molti dei film visti: l’approccio alle tematiche politiche e sociali più scottanti. Un approccio non diretto né esplicito secondo i canoni delle classiche opere di denuncia o di impegno civile, ma nel quale il tema politico/sociale non riecheggia neanche alla lontana venendo allegorizzato, mettiamo, nel privato: è palese, pur non essendo affrontato davvero esplicitamente. Un po’ come se fosse dato per scontato, come una condizione irrimediabile che agisce su uno sfondo ormai quotidiano e familiare. Così in Street of Death del libanese Karam Ghossein la voce narrante racconta storie di ordinaria violenza e cinismo nelle strade di Beirut, con un montaggio delle attrazioni che lega le immagini tra loro e le immagini con le parole, astraendo i concetti e giocando sia con il documentario che con la finzione. Ancora dal Libano, The President’s Visit di Cyril Aris sfodera le armi della commedia ironica e vagamente surreale per raccontare il rapporto tra popolo e potere. In quest’ottica sorprende il focus dedicato al Marocco, la cui cinematografia, se gli autori visti a Sant’Antioco manterranno le promesse, potrà avere molto da dire nel futuro prossimo. L’homme au chien di Kamal El Azrak è un Fuori orario cupo e teso che racconta l’odissea di un uomo alla disperata ricerca del cane smarrito attraverso i sottofondi criminali di una società che appare allo sbando. Durissima l’educazione sentimentale alla cattiveria e al cinismo a cui il bimbo protagonista di Mokhtar di Halima Ouardiri viene costretto dal rigoroso padre tradizionalista. Dalla Francia invece in Geneva Convention di Benoît Martin le questioni della convivenza multietnica, del disagio e della criminalità giovanile vengono espresse attraverso le forme di un teen movie raccontato come se fosse diretto dal Kechiche di La vita di Adèle. La società israeliana appare invece polverizzata, spaventata e incapace di comunicare in Shmama di Miki Polonski, film in cui i movimenti di macchina e il lavoro sulle geometrie e sugli spazi diventano metafora delle solitudini e dell’incapacità di trovarsi. Un’opera rigorosa e allo stesso tempo emozionante, forse il corto che spicca in una selezione d’alto livello.