La densità dei ricordi
Curiosare nelle memorie altrui è uno degli innegabili piaceri che stanno alla base della fruizione dell’opera d’arte. Tutto ciò che sa di autobiografia, di storia vera, di vicenda familiare arriva allo spettatore/lettore/ascoltatore con una forza maggiore che sembra presupporre la sincerità altrove non presente. “Vivere molte vite” invece di vivere la nostra solamente, citando Eco, è ancora il collante sostanziale e necessario al mondo culturale.
Il fumetto non è (o non può essere?) al di fuori di questa logica e Baru, con Gli anni dello Sputnik, ne è un esempio senza fronzoli. Il corposo volume a colori racchiude vicende semplici, forse anche ripetitive nello schema, dilatate e colme di dettagli come solo i ricordi possono essere e non dei ricordi qualsiasi, quelli d’infanzia. Chi può dirsi esente da una certa nostalgia al raccontare storie di “quand’ero piccolo”? Chi non vi aggiunge del calore, della pastosità e anche dei significati che magari vi si sono sovrapposti e che in realtà non vi appartengono? Eppure è la trasfigurazione della memoria che ci rende uomini e ci dona un’identità. Baru non inganna, non filtra, racconta come racconterebbe ad un amico non del tutto estraneo a quei luoghi e a quei fatti. Usa ogni storia come fosse un tassello della sua crescita, una tacca su una parete che segna un cambiamento quasi ovvio, preannunciato ma determinante. Una partita a calcio nel fango, un rigore parato, una lotta agli indiani, pomeriggi in punizione, il sottile confine di tempo tra compiti e amici, la furba e quotidiana contrattazione tra doveri e piaceri, il necessario realismo di un padre operaio, una madre coraggiosa che non teme mai di non farcela: tutto finisce nel tratto mosso e impreciso – e per questo così espressivo – di Baru. I suoi acquarelli riescono a non tradire la vividezza e la fumosità caratteristiche dei ricordi, sembra che un ragazzino non abbia mai urlato, corso e fatto a botte come in questi disegni. I colori scelti virano tutti verso una tinta da stampa invecchiata dal tempo e dall’umidità, così che gli anni ’50 sono rappresentati come altrove, con la patina antiquaria di un’epoca risolta, assimilata, che sembra non riservare più alcuna novità. Più in generale Gli anni dello Sputnik non può dirsi un’opera originale, non stupisce, non commuove, non è intensa, ma è compatta e coerente come poche. È come una vita qualunque, una tra un milione, non fondamentale, né determinante, ma singolarmente rivelatoria. Il finale apre inevitabilmente alle dinamiche storiche, la lotta operaia, l’abbandono delle periferie, la disoccupazione: storie “che non potevano non essere così”, all’ombra dei sogni dimenticati e degli ideali talmente diluiti da non lasciare traccia.
Gli anni dello Sputnik [Les Années Spoutnik, Francia 2011] TESTO E DISEGNI Baru.
EDITORE Oblomov Edizioni. COLLANA Eisner.
Graphic novel, 208 pagine.