Chiamami con il mio nome
Tra i più recenti successi della A24, è il vero debutto alla regia di Greta Gerwig, dopo Nights and Weekends (2008), il mumblecore co-diretto e interpretato insieme a Joe Swanberg, pieno di scene erotiche buffe, proprio come quella in cui la protagonista di Lady Bird perde la verginità.
Dai tempi di Nights and Weekends, Gerwig ha sviluppato il suo talento naturale partecipando a un cinema più narrativo, rubando i segreti del mestiere a registi come il suo compagno Noah Baumbach, per il quale è stata co-sceneggiatrice e attrice in due tra le commedie più interessanti degli ultimi anni: Frances Ha e Mistress America. Trovata nell’ottima Saoirse Ronan la Lady Bird che cercava, Gerwig mette in scena una storia di vaga ispirazione autobiografica: l’adolescenza nella noiosa Sacramento, California, la madre infermiera, la scuola religiosa, la passione per il teatro. Christine, che solo alla fine imparerà ad accettare il proprio nome, senza più costringere chiunque a chiamarla “Lady Bird”, e a fare pace con le proprie radici, con la città da cui proviene e con la severa genitrice, ha in comune con i personaggi a cui ha dato corpo la Gerwig da attrice un mix irresistibile di simpatica nevrosi, ambizione e infantilismo. Ma, per ammissione della stessa Gerwig, ha una personalità decisamente più estrosa e ribelle della sua autrice. Tutti i cliché del coming of age e del cinema indie da Sundance, dalle problematiche famigliari alle musiche alternative rock (Alanis Morrissette, Dave Matthews, Ani Di Franco, i poster delle riot grrrls in camera), dai colori freddi alla luce grigiastra, non impediscono allo spettatore di percepire la sincerità del racconto. E, come nei film di Linklater, non mancano i riferimenti precisi al momento storico in cui le vicende sono ambientate. Qui siamo nel 2002, poco dopo l’11 settembre. Quando l’amica Julie, sapendo che Christine desidera ardentemente iscriversi a una delle università di New York, domanda “What about terrorism?”, Lady Bird puntualmente risponde “Don’t be republican”. C’è un sano intento satirico nei confronti di una serie di tipologie di poser che chiunque ha incontrato nella vita, dai vegani più fanatici come il fratello di Christine e la sua ragazza, che fuma chiodi di garofano, ai bei tenebrosi snob tutti ciuffo e chitarra come Kyle, la cui band prende il nome da un film di Pialat. Fino alla “bella del paese”, la ricca Jenna, a cui Christine, facile alla menzogna, inizialmente nasconde la “normalità” della propria abitazione, non diversamente da come Danny tiene nascosta la propria omosessualità e da come la madre di Christine reprime l’affetto per la figlia. Gerwig è attenta a tutti i suoi personaggi. Un’attenzione che, insegna la madre superiora, direttrice della scuola, forse non è così lontana dall’amore.
Lady Bird [Id., USA 2017] REGIA Greta Gerwig.
CAST Saoirse Ronan, Laurie Metcalf, Tracy Letts, Timothée Chalamet, Lucas Hedges.
SCENEGGIATURA Greta Gerwig. FOTOGRAFIA Sam Levy. MUSICHE Jon Brion.
Commedia, durata 94 minuti.