Odissee
Nel cinema come in qualunque altra forma narrativa e artistica, esistono storie già raccontate mille volte, paesaggi già visti e rivisti e personaggi che abbiamo imparato a conoscere a memoria.
Questi ennesimi ritorni possono essere banali e ovvi, come una serata non entusiasmante trascorsa con gli amici di sempre, oppure essere interessanti e ancora stimolanti, come una serata divertente trascorsa con gli amici di sempre; è la differenza che corre tra stereotipo e archetipo, e spesso è una questione di dettagli, di ottiche e punti di vista leggermente, ma in maniera decisiva, diversi. Questo discorso può cadere a pennello per Charley Thompson di Andrew Haigh, film che rielabora il mito della frontiera unendola a tematiche e caratteri tipicamente “indie”. Quasi un western esistenziale e intimo che del mito della frontiera riprende gli aspetti esteriori adattandoli ad un contesto di profonda depressione, di disagio sociale e intimo e ad una realtà “white trash”. Racconta il viaggio negli States più profondi, dove la “wilderness” si affianca ai non luoghi che riflettono la crisi economica, del quindicenne Charley e di “Lean On Pete” (il titolo originale del film), cavallo che il giovane protagonista salva da una sorte inevitabile. Charley, vittima di un contesto famigliare problematico e sfortunato, si lega all’equino come ad un elemento esterno decisivo per la sua salvezza e per la sua formazione.
Haigh conferma la sua abilità, già vista nei toccanti Weekend e 45 anni, nel pennellare con delicatezza, pudore ed efficacia sentimenti e solitudini. È un racconto che evita le trappole della retorica e degli eccessi, e che non si compiace del disagio descritto come spesso capita in certo cinema indie. Riuscendo così ad emozionare per davvero, nonostante il personaggio dell’adolescente inquieto sia tutt’altro che inedito. C’è un’estrema delicatezza nel raccontare l’odissea del giovane protagonista, incorniciato costantemente da campi lunghi e lunghissimi che mettono al centro un paesaggio, che sia quello squallido dei sobborghi nella prima parte o che sia quello magnifico della “wilderness” nella seconda, che nel suo apparire “troppo grande” simboleggia la crisi e le utopiche speranze del quindicenne.
Al di là dell’impatto emotivo, altrettanto interessante è la rappresentazione, quasi tangenziale, degli archetipi, fisici e umani, degli States più profondi, che riecheggiano nel cammino di Charley, come riecheggiano gli effetti della depressione economica. Anche qui, nulla di nuovo sotto il sole, ma raccontato con efficacia e pudore facendo sì che anche da questo punto di vista il film di Haigh funzioni ed eviti la trappola della banalità, confermandosi come un’ennesima variazione sul tema che è realmente, pur nei dettagli, una variazione.
Charley Thompson [Lean on Pete, USA 2017] REGIA Andrew Haigh.
CAST Charlie Plummer, Steve Buscemi, Chloe Sevigny, Travis Fimmel, Steve Zahn.
SCENEGGIATURA Andrew Haigh. FOTOGRAFIA Magnus Nordenhof Jønck. MUSICHE James Edward Barker.
Drammatico/Road Movie, durata 122 minuti.