Terry Gilliam is present
Quando aveva 25 anni Toby ha attraversato l’oceano per girare, in Spagna, un film su Don Chisciotte che sarebbe diventato la sua prova di laurea. Dieci anni dopo Toby è un geniale ma cinico regista ancora alle prese col film maledetto ma stavolta ha una superproduzione alle spalle che fa capo a un magnate russo della vodka. Seguendo il suo istinto si ritroverà a riportare in vita il mondo magico che si era lasciato alle spalle.
Terry Gilliam ce l’ha fatta! Questo urlo basterebbe a far tremare tutte le recensioni un po’ snob e i critici che si impuntano sul voler affrontare L’uomo che uccise Don Chisciotte come l’ultimo film del regista inglese, cosa che evidentemente non è. E allora di cosa dobbiamo parlare? In primis del dolore di una persona – ebbene sì, dentro un/a grande regista c’è sempre un essere emotivamente uguale a noi – che ha sconfitto il tempo e la maledizione che si era abbattuta su di un personaggio, forse lanciata da uno degli dèi della letteratura, quelli che, per intendersi, piangono ogni volta che qualcuno chiede al libraio “cercavo Il processo di Kafka ma non ricordo il nome dell’autore”.
Perché per portare a termine questa impresa sisifea ha provato prima a fare la cosa che gli riesce meglio, il regista, fallendo, (Lost in La Mancha ne è la prova), poi si è accorto che per terminare – ovvero portare a termine e uccidere – Don Chischiotte doveva proiettare dentro di sé il demone che lo abitava. Un esorcismo alla Friedkin, Atlante che regge da solo il peso del mondo, la performance di un corpo che sbatte continuamente contro un materiale non elastico – l’ombra di Marina Abramović, Ulay – trovate quante più similitudini volete per celebrare l’atto artistico rappresentato dall’uscita in sala di L’uomo che uccise Don Chisciotte. Bisogna ribaltare la prospettiva per capire cosa Gilliam vuole dirci attraverso il film: il suo è un canto carnascialesco proveniente dalla città di Los Sueños (sogni) prima che vada a fuoco, è la mise en abyme di una mise en abyme che gioca con la nostra percezione e col nostro posizionamento all’interno della storia: siamo spettatori di un film mancato? o di un reenact di una storia mai vista? Siamo nel regno del possibile (avventura) o in quello del fantastico (fantasy)? Siamo svegli o sogniamo costantemente?
Si ripropone il dilemma di Pierre Menard (autore del Don Quijote de la Mancha) evocato da Borges in Ficciones (1944): un autore che vuole riportare parola per parola, linea per linea un testo, producendo non un altro Chisciotte ma il Chisciotte. Qui è Gilliam a riportare se stesso, è l’autore che mette mano alla sua opera, perché solo attraverso l’atto di riscriverla, battuta su battuta, può approdare a L’uomo che uccise Don Chisciotte. Questo non è l’ultimo film di Terry Gilliam ma la sua performance più riuscita.
L’uomo che uccise Don Chisciotte [The Man Who Killed Don Quixote, SPA/BEL/POR/FRA/UK 2018] REGIA Terry Gilliam. CAST Adam Diver, Jonathan Pryce, Stellan Skarsgård, Olga Kyrulenko, Joana Ribeiro. SCENEGGIATURA Terry Gilliam, Tony Grisoni. FOTOGRAFIA Nicola Pecorini. MUSICHE Roque Baños
Avventura/Fantasy durata 129 min.