Storia di un inizio
Glass è l’atto conclusivo di una trilogia che al suo interno porta due anime profondamente distinte, accomunate in questa terza parte dal racconto della scoperta e della consapevolezza dell’essere dei supereroi.
Bene contro il male, eroe e antagonista, sono tutti paradigmi che M. Night Shyamalan riporta in Glass come metanarrazione per l’esegesi dei racconti sui supereroi. Una caratteristica già marcatamente presente nel primo capitolo, Unbreakable, e che qui ritroviamo in modo ancor più insistente, tutto in funzione del plot twist conclusivo. Il tentativo di Glass è di trovare una sintesi tra la discreta problematicità di Unbreakable, in cui il quesito consisteva nella coscienza di un supereroe di essere un supereroe, trasformando la domanda in come essi possano rivelarsi al mondo, il tutto senza perdere l’anima di genere di Split. Non è un caso allora che sia proprio Kevin, assieme all’orda di personalità che abitano la sua mente, il perno su cui ruotano le vicende di David, il giustiziere incappucciato di Unbreakable, e di Elijah, ossia Mr. Glass, geniale manovratore dietro la scoperta dell’esistenza di uomini straordinari. Kevin, e in particolare la forza fisica della sua personalità più irrazionale e pericolosa, la Bestia, rappresenta la nemesi concreta, e non solo teorica come lo era Elijah, di David, perché paragonabili, oltre che per la loro forza, per l’opposta inclinazione a fare del male piuttosto che il bene. Nonostante ciò, Glass rifugge dalla normale retorica tra bene e male, ma al contrario livella i suoi personaggi sullo stesso piano. Tutti e tre finiscono dentro un ospedale psichiatrico, trattati come freak da curare. Shyamalan instilla il dubbio, lascia la sospensione che tutto ciò che vediamo sia solamente frutto delle convinzioni dei protagonisti, ma in Glass il giochino tra realtà e fantasia, a differenza degli altri due episodi, non funziona. Il percorso di affermazione della propria singolarità e sospensione dell’incredulità nello spettatore è già avvenuto, e riproporlo altro non è che una ridondanza. La prima delle due ore si sviluppa lentamente e, per quanto, l’originalità dell’idea di rinchiudere eroe e antieroi nella stessa struttura a rincorrersi solo fittiziamente per scontrarsi, quando invece essi cercano di affermare la propria natura, si perde all’ombra di un’intelaiatura annacquata nei tempi e nei modi. Shyamalan dimostra di essere sempre un gran architetto in grado di controllare l’aspettativa spettatoriale, per stupire ribaltando la prospettiva nel finale, ma come spesso gli è accaduto i modi e la costruzione non sempre sono all’altezza della sorpresa. Glass è il capitolo più debole e insicuro, invece che essere punto di unione di due anime, ne rimane invischiato senza trovare una sintesi, impantanato nel suo voler esser tre atti del medesimo inizio, cioè la consapevolezza dei supereroi.
Glass [id., USA 2018] REGIA M. Night Shyamalan.
CAST James McAvoy, Bruce Willis, Samuel L. Jackson, Sarah Paulson.
SCENEGGIATURA M. Night Shyamalan. FOTOGRAFIA Mike Gioulakis. MUSICHE West Dylan Thordson.
Drammatico, durata 129 minuti.