Art for Art’s Fake
Lee Israel è una donna molto sola. La sua agente rifiuta le sue idee, i librai non vogliono i suoi libri, la veterinaria respinge i suoi spiccioli e persino la sua gatta snobba il cibo che le offre.
Scrittrice in declino con alcune biografie all’attivo, vive in stato di abbandono tra una casa piena di mosche e un pub vuoto di aspettative, condividendo disincanto e bevute con l’istrionico Jack Hock. Finché l’idea di contraffare lettere di personaggi celebri sembra svoltare la sua esistenza ai margini. Tratto dal libro di memorie Can You Ever Forgive Me? della vera Leonore Carol “Lee” Israel, Copia originale è molto più di un biopic. È un film lucido sull’attualità, sulla solitudine e il coraggio dell’arte e sulla pretesa di originalità da parte di un sistema poco incline all’anticonformismo. Lee Israel è ormai una ghost writer nel vero senso dell’espressione, una scrittrice fantasma che indispone tutti quando si fa viva. Nella scrittura di lettere false, a nome degli autori e degli artisti che ama, Lee trasforma l’anonimato coatto in un’inedita via d’uscita. Da biografa a falsaria, trova un modo per esprimere la propria arte annullandosi nel suo stesso oggetto. E, tuttavia, le sue “copie” sono autentica letteratura, frutto dell’ingegno con cui replica gli stili.
L’ambiguità tra falso e autentico, copia e originale è notoriamente cara al cinema. In questo caso, si estende alla scrittura e all’arte in toto, con un’artista che, per restare se stessa, è costretta a spacciarsi per qualcun altro. Marielle Heller ne evoca la solitudine con campi lunghissimi e profondità di campo, ad accentuare il vuoto che la circonda o la folla in cui è costretta a perdersi. Lee lavora nell’ombra e la scelta di una fotografia dalle tonalità crepuscolari richiama l’aspetto intimo e solitario della scrittura. La carta, piuttosto, è la vera protagonista, continuamente raccolta, carezzata, distesa, segna l’evolversi della vicenda. Dalle lettere originali a quelle contraffatte, dal denaro frusciante al mandato di cattura. Lee è un outsider come Jack Hock, straordinario Richard E. Grant, impenitente flâneur che cela l’emarginazione dietro una maschera di amabile noncuranza. Lee, al contrario, avanza impacciata nei corridoi stretti che la contengono a fatica, dove vorrebbero incanalarla invano le aspettative della società. Aggressiva e ritratta come una tartaruga arcigna, non ha alcuna intenzione di piegarsi ai compromessi. Il titolo del libro, e del film nella versione originale, non è che l’ennesima trovata sferzante. Perché Lee non vuole il perdono degli altri, impegnati per amor di apparenza nell’insincera ricerca dell’autentico. Vuole solo quello dell’arte, per non avere avuto il coraggio di rivendicarne la paternità.
Copia originale [Can You Ever Forgive Me?, USA 2018] REGIA Marielle Heller.
CAST Melissa McCarthy, Richard E. Grant, Dolly Wells, Jane Curtin, Anna Deavere Smith.
SCENEGGIATURA Nicole Holofcener, Jeff Whitty. FOTOGRAFIA Brandon Trost. MUSICHE Nate Heller.
Biografico/Drammatico, durata 107 minuti.