#3 Stanley Donen – Per l’occasione, ve ne cantiamo otto
Hollywood, 1957. Mentre il Re dei Musical, Stanley Donen, conquista le sale con Cenerentola a Parigi e l’amabile “Funny Face” di Audrey Hepburn, il Re del rock and roll scandalizza il grande schermo con una coreografia di ballerini galeotti. Il film in questione è Jailhouse Rock (1957), significativamente ribattezzato in Italia Il delinquente del rock and roll, e la sequenza coreografica con Elvis Presley protagonista è considerata un video musicale ante litteram destinata a fare scuola.
Tra gli allievi, non manca una nutrita schiera di artisti italiani che, senza incorrere nelle accuse di ascendenze demoniache rivolte al loro idolo Oltreoceano, si guadagnano comunque la fama di “Urlatori”. Al belcanto del “Reuccio” Claudio Villa oppongono orgogliosamente i ritmi beat ispirati a “King” Elvis, rivoluzionando il panorama musicale da nord a sud dell’Italia. Una battaglia che si combatte anche e soprattutto a colpi di musicarello, genere cinematografico tutto nostrano incentrato sul cantante di turno. Da condiscendente vetrina del canto melodico, i musicarelli si fanno portavoce dei nuovi artisti e delle istanze giovanili consacrando, tra gli altri, Mina e Celentano, Betty Curtis e Tony Dallara, Gianni Morandi, Rita Pavone, Patty Pravo e Little Tony.
A lungo snobbati dalla critica, per le trame esili e la funzione principalmente promozionale, i musicarelli hanno goduto in anni più recenti di un maggior riconoscimento. Film come Nessuno ci può giudicare (Steve Della Casa, 2016) li riconoscono come testimoni di un cambiamento culturale che partiva dalla musica per estendersi ai costumi. Tra i registi e gli sceneggiatori del genere figurano nomi come Ettore Maria Fizzarroti, i fratelli Corbucci, Sergio Sollima a Mario Mattoli, ma anche Lina Wertmüller e Lucio Fulci. Nella classifica di questo numero vogliamo quindi omaggiarne alcuni, scegliendoli arbitrariamente tra i musicarelli più rappresentativi, senza dimenticare epigoni più, meno o molto meno riusciti. Ecco dunque i fantastici 8 per un revival al ritmo di beat.
#8 I ragazzi del juke-box (Lucio Fulci, 1959)
Inauguriamo la classifica con un’ouverture da maestro. Il maestro in questione è Lucio Fulci, al tempo già affermato sceneggiatore, all’esordio nella regia con I ragazzi del Juke-box (1959). Il dissidio insanabile tra un Commendatore amante del canto melodico e la figlia frequentatrice del locale “La Fogna”, dove si esibiscono gli Urlatori, è il pretesto per un susseguirsi di ugole scatenate, da Betty Curtis a Tony Dallara, da Adriano Celentano a Fred Buscaglione. Fulci, che realizza nello stesso anno I Ladri di Totò, è anche il regista di Urlatori alla sbarra del 1960, nonché l’insospettabile paroliere di Ventiquattromila baci e Il tuo bacio è come il rock.
#7 Io bacio, tu baci (Pietro Vivarelli, 1961)
Di nuovo una figlia alle prese con il ricco padre, in difesa di un locale di giovani che il genitore vuole radere al suolo. La figlia, stavolta, è niente meno che Mina, già protagonista di Appuntamento a Ischia di Mattoli, perfettamente a suo agio nei panni della giovane borghese ribelle, dal fisico statuario e dalla voce eccezionale. L’affianca una degna banda di “scatenati, isterici, pazzi” destinati a diventare l’incubo dell’irascibile Adolfo Cocchi. Da Adriano Celentano a Peppino di Capri, passando per Jimmy Fontana, i cantanti del momento si alternano per la regia di Pietro Vivarelli, tra i più prolifici autori del genere.
#6 In ginocchio da te (Ettore Maria Fizzarrotti, 1964)
Nel 1964 anche Gianni Morandi ottiene il suo musicarello personale, nonostante abbia già recitato in Totò Sexy di Mario Amendola e ne I ragazzi dell’Hully Gully di Marcello Giannini. Il musicarello di Ettore Maria Fizzarrotti, In ginocchio da te, è il primo della trilogia che prosegue con Non son degno di te e Se non avessi più te, sempre ispirati ai suoi successi canori. Non bastasse la cacofonia dei titoli a suggerirne il grado di stucchevolezza, aggiungiamo che il film fu galeotto dell’amore tra Morandi e la futura moglie Laura Efrikan. Ma l’aspetto più esilarante è la coincidenza del servizio di leva del cantante con quello del personaggio interpretato sullo schermo, nel manifesto intento di commuovere i fan. Quando si dice l’aderenza al reale.
#5 Nel sole (Aldo Grimaldi, 1967)
Non fossero valsi a vendere copie, i musicarelli avrebbero comunque funzionato benissimo come spot per agenzie matrimoniali. Il secondo idillio consacrato dal set è quello tra Al Bano e Romina Power, in coppia Nel sole di Aldo Grimaldi. Prima di scoprirsi novella Mata-Hari o appassionato amante di Loredana Lecciso, Albano Carrisi vestiva i più credibili panni di un giovane liceale innamorato di una compagna benestante. Tra un trillo e l’altro dell’ugola dei nostri, e le incursioni di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, inizia l’eterno tira e molla della coppia più chiacchierata degli ultimi 60 anni.
#4 Soldati e Capelloni (Ettore Maria Fizzarrotti, 1967)
Nel 1966, sbarcano a Firenze i The Motowns, gruppo britannico di stampo beat. “Sbarcano” letteralmente perché, proprio in quei giorni, l’Arno decide di straripare e l’alluvione porta via ai The Motowns l’intera strumentazione e l’impianto di amplificazione. Incuranti del segnale dall’alto, i cinque di Liverpool partecipano a diversi festival e Cantagiro, nonché a L’immensità di Pasquale V. Oscar de Fina e a Soldati e Capelloni di Ettore Maria Fizzarrotti, al fianco, pensate, di Peppino De Filippo. I capelli del titolo, prima corti e insignificanti, poi fluenti in pieno stile beat, si scontrano con la chiamata alla leva e vanno incontro a una fine brutale. Più o meno come il gruppo, che il cantante Lally Stott abbandona già nel ’69, per proseguire da solista e scrivere brani come Chirpy Chirpy Cheep Cheep.
#3 Joan Lui – Ma un giorno nel paese arrivo io di lunedì (Adriano Celentano, 1985)
Lasciamo alle spalle l’allegretto vivace dei musicarelli anni Sessanta e il lento declino degli anni successivi, per ripartire forte fortissimo con il 1985. Il molleggiato Adriano Celentano, ormai celeberrimo nella musica come al cinema, torna alla regia a dieci anni da Yuppi Du, per regalare una perla rara del cinema musicale. Joan Lui è una creatura ibrida e del tutto imprevedibile, un potpourri di generi che spaziano dal drammatico al comico, dal western al grottesco, per sconfinare in un finale horror. La megalomania della produzione, tra coreografie e ambientazioni di ispirazione apocalittica, è seconda solo a quella del protagonista, moderno Cristo in una terra devastata. Il film, molto opportunamente uscito il 25 dicembre, è indescrivibile in poche righe. Perciò vi invitiamo a superare l’empasse della durata – e la non recitazione di Claudia Mori – per rivederlo al più presto. Vi lasciamo però con una citazione: “Con una sola apparizione, senza parlare, è arrivato a occupare le prime pagine dei giornali… è c’è anche chi parla di messaggio”. Se non è auto-consapevolezza questa.
#2 Jolly Blu (Stefano Salvati, 1998)
Correva l’anno 1998 e la voce di Max Pezzali cantava le magnifiche sorti e progressive degli amori pre-adolescenziali. Se vi sembra ieri, è perché lo fa tutt’ora. Forse in previsione di tanta coerenza autoriale, Claudio Cecchetto e Stefano Salvati decidono di portare Max sul grande schermo. Salvati, del resto, è autore di numerosi videoclip, per artisti che spaziano da Vasco agli Aerosmith, mentre il successo degli 883 è consacrato dall’uscita de La dura legge del Gol. Insomma, una scelta comprensibile, no? No. Anche a immaginare il peggio, Jolly Blu supera ogni aspettativa. L’andamento del film è a dir poco sincopato, complici le canzoni annunciate dal titolo profferito a mo’ di battuta, la regia da videoclip non aiuta la continuità e gli attori cazzeggiano visibilmente. Ma a dare il colpo di grazia sono i personaggi che interpretano a turno le diverse strofe dei brani, cantandole in playback con la voce di Max Pezzali. “Straniante” è l’aggettivo più carino che mi viene in mente. Inseriamo Jolly Blu in classifica per ricordare ai posteri come non si fa un musicarello.
#1 Aitanic (Nino D’Angelo, 2001)
Se siamo arrivati alla numero 1 senza citare Nino D’Angelo non è certo perché abbiamo dimenticato il biondo protagonista dei musicarelli anni Ottanta. Ma preferiamo omaggiarlo così, con il suo musicarello più recente che lascia di stucco per l’improbabilità, la sceneggiatura sui generis e l’autoironia. Ispirato al Tano da morire di Roberta Torre nella ricerca degli accenti grotteschi, Aitanic è un film su un disoccupato imbarcato su un traghetto abusivo durante lo sciopero dei traghettatori. Tra decine di citazioni del cinema italiano e Hollywoodiano, Aitanic procede incerto come l’imbarcazione del titolo, ma altrettanto scorretto, scanzonato e amabilmente incurante del tempismo.