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A Day Off (1968)

venerdì 31 Luglio, 2020 | di Giampiero Raganelli
A Day Off (1968)
Corea: film history
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Sogni spezzati

La canzone di due umani, due anime sulla strada, una storia d’amore proletaria e disperata nella Corea del Sud, sotto il dispotico dominio di Park Chung-hee. Questo è A Day Off (Hyuil) del regista classico Lee Man-hee. Un film del 1968, prontamente sequestrato dal governo per la sua visione pessimistica e ritrovato solo nel 2005. Il regista si rifiutò di apporre le modifiche richieste dalla censura e del resto Lee Man-hee scomodo lo era: era anche stato arrestato anni prima, per la colpa di aver dipinto i nordcoreani come esseri umani, nel film Seven Women Prisoners (Dol-a-on Yeo-gun).

A Day Off è la storia di due innamorati, ragazzi poveri che trascorrono insieme le domeniche. In una di queste lei, Jee-yun, rivela a lui, Huh-wook, di essere incinta e i due, non potendo permettersi un figlio, decidono per l’aborto. Segue una corsa forsennata alla ricerca dei soldi necessari, che il ragazzo riesce a ottenere solo rubandoli a un amico. L’ostetrico li avvisa che Jee-yun potrebbe non sopravvivere all’intervento. Huh-wook sbanda, si ubriaca e adesca una ragazza in un locale. Tornato alla clinica, scopre che la fidanzata è ormai morta, senza essere riuscito a darle l’ultimo saluto.

Un film doloroso, che guarda tanto al Neorealismo italiano quanto a quel cinema giapponese di realismo sociale degli anni Trenta e del dopoguerra. Un film dove tornano tanto Aurora, nel pellegrinaggio esistenziale di due umani in una giornata, quanto Una meravigliosa domenica, uno dei primi film di Akira Kurosawa.

A Day Off è un’opera elegiaca, che si dipana nel continuo spostamento dei due personaggi, in una parabola che si snoda d’inverno a Seul. L’opprimente sagoma di un grande campanile di una chiesa cattolica sovrasta la prima scena e il suono delle campane scandisce alcuni momenti del film, richiamando una battuta della ragazza – «Forse ci sposeremo in chiesa» – sui loro sogni, impossibili da raggiungere. Come avere tre figli e tanti fiori nel giardino di casa, un’immagine che contrasta con quella dimensione di vegetazione spoglia, invernale. 

Il percorso dei due umani si snoda sulla collina nella parte sud di Seul, battuta dal vento: un’urbanistica dissestata, con spazi vuoti, cantieri e macerie, parchetti, dove un groviglio di vegetazione si mescola alle tipiche architetture con i tetti a pagoda. Lee Man-hee restituisce composizioni dell’immagine, in una poesia del degrado e della disperazione. I due appoggiati dalle parti opposte di una colonna, su cui si adagia la fronda nodosa e contorta di un rampicante. Una sosta, un limbo per meditare su come trovare i soldi, su una panchina in cima alla collinetta, dove la tempesta di sabbia diluisce tutta l’immagine nel bianco. La parte finale, lo sbandamento di Huh-wook, è nella Seul dei locali notturni, dei vicoli con insegne. E il film si chiude nell’ultimo disperato movimento del protagonista, ancora con elementi materici, su un tram, sotto la pioggia battente. Ma ormai la corsa è finita e anche i binari si interrompono, in mezzo alle pozzanghere.

A Day Off [Hyuil, Corea del Sud 1968] REGIA Lee Man-hee.
CAST Jeon Ji-Yeon, Kim Sun-cheol, Shin Sung-il. SCENEGGIATURA Baek Gyeol. FOTOGRAFIA Lee Seok-gi. MUSICHE Jeon Jeong-geun.
Drammatico, durata 73 minuti.

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