Altroven
“Brivido, terrore, raccapriccio” sono le parole d’ordine di Cattivik, creatura figlia di Franco Bonvicini, in arte Bonvi. Sono termini adatti anche ad Incubi di provincia, la raccolta di storie brevi che il grande fumettista modenese scrisse e disegnò tra la fine degli anni Sessanta e il decennio successivo, apparsa per la prima volta nel 1981 e ripubblicata da Rizzoli Lizard, con l’aggiunta delle brevi Leggende urbane che Bonvi realizzò nel 1994, pochi mesi prima di morire.
In maniera in qualche modo simile ai racconti di Dino Buzzati, dove la vena fantastica agiva nelle pieghe della quotidianità, facendo spesso emergere condizioni interiori ed esistenziali, le brevi vicende tratteggiate dalla matita di Bonvi con varie sfumature di comicità, ironia e grottesco raccontano l’irruzione del paradosso, dell’incubo e dell’orrore nella normalità qualunque di cittadini qualunque in una qualunque cittadina di provincia di un Nord Italia qualunque.
Così, un lucido folle dirotta verso L’Havana un tram carico di recriminazioni e disillusioni in Andiamo all’Havana! (1969), scritta da Francesco Guccini («Se devo emigrare in America, come mio nonno, prendo il tram»); ne La sera della vigilia (1975) uno psicologo affronta, la sera prima di Natale, un paziente che ha il problema di trasformarsi in elefante all’arrivo delle feste comandate; paradossi e cortocircuiti temporali caratterizzano Il campo di Liebowitz (1975) – la vicenda più puramente horror – e Seeezza della quasità (1969); in Incubo (1973) chissà se è l’alieno a sognare l’umano o viceversa, mentre in Sterminarli senza pietà (1969) è ancora l’intervento di esseri fantastici a rimestare nei desideri più nascosti e torbidi dell’individuo. In L’ora dello schizoide (1970), impreziosita dalla partecipazione nell’ultima vignetta dell’amico Roberto Raviola, in arte Magnus, è lo stesso Bonvi ad essere costretto a fare letteralmente i conti con le proprie creazioni.
Con l’eccezione di La vera storia di Buddy the Kid (1969), parodia western che prende di mira moralisti e bacchettoni, e del distopico noir Blackout (1981, disegnato dall’allievo Silver), l’ambientazione preferita è una pigra, benestante e nevrotica provincia, richiamata da dettagli e sfondi come teatro ideale della rottura della realtà quotidiana, stravolta dal fantastico e dal paradosso. Talvolta più feroce, talaltra più malinconico e con un sottofondo di disperazione, e altre volte ancora beffardo, ma sempre divertito, Bonvi è come se avesse giocato a immaginare le reazioni dell’animo umano davanti alle irruzioni dell’incredibile, arrivando a conclusioni non propriamente positive, tra egoismi, cinismi e calcoli puramente materialisti. Insomma, anche con uno humour nero meno accentuato che nelle Sturmtruppen o in Cronache del dopobomba, in questi Incubi di provincia è facile ritrovare il surrealismo acuto, ironico e anche un po’ mesto dell’autore, così come possiamo ritrovare la perizia del suo tratto, all’insegna di un finto realismo grottesco e caricaturale e di un grandissimo lavoro sulle varie tonalità del bianco e nero.
Incubi di provincia: nuova edizione ampliata [Italia 1969 – 1995].
TESTO E DISEGNI Bonvi, Francesco Guccini, Silver.
EDITORE Rizzoli Lizard.
Antologia, 188 pagine.