Passaggi d’autore, 3-8 dicembre 2020
Gli occhi del mondo
La prima – immediata – percezione che sopravviene fin dagli attimi iniziali di Inverno è quella di una fissità obbligata, un senso di risonante immobilismo che trascina l’immagine e i personaggi tutti. Senza ancora conoscere niente di questa vicenda, né di questo enorme e minuscolo personaggio messo al centro delle inquadrature, lo spettatore sa già – sappiamo già – che quello sguardo gettato in basso, alla terra infeconda dell’inverno, reca con sé il senso più straziante della perdita.
La giostra sulla quale è seduto l’innocente Timo (Christian Petaroscia), per l’appunto, è immobile. Ma ancor più fisso e impietoso è il colore di questo inverno che – per i lavoratori circensi e giostrai della più parte del mondo – corrisponde alla riduzione obbligata dell’attività e a una conseguente perdita di introiti. Giulio Mastromauro (Carlo e Clara, Nuvola, Valzer) stende quasi un velo blu sulla sua opera, mentre, al contempo, i giostrai greci scoperchiano tutte le loro giostre provando a ripartire.
E se la mancanza di sole in esterni non fosse già sufficiente – proprio là dove, per antonomasia, a dominare sono sempre allegria e colore –, il nucleo familiare interno risulta drasticamente ottenebrato, ingoiato quasi dal buio, quando non illuminato da una fioca luce funerea di candela. Di nuovo, allora, ciò che manca è il movimento. Statue, cimeli, fotografie parlano lo stesso linguaggio dell’immobilità, o della morte. Al contrario, quasi come una forza resistente della vita, i personaggi tentano di muoversi come possono in questo spazio tetro e freddo, rimettendo in sesto il parco, lavorando, gettando nell’immondizia i resti della malattia e del passato. Questo inverno è una brutta bestia; non si comunica neanche più in parole, e i silenzi vengono presi in carico, così, dallo sguardo.
Tutto il sostrato emotivo della vicenda passa per gli occhi vitrei dei personaggi, ciascuno con il proprio (non) ruolo, osservatori inerti della realtà. Il nonno (Babak Karimi), allora, rappresenta l’instancabile capo famiglia incaricato – ancora – di provvedere ai figli, di prenderne in carico dolori e responsabilità, di tenere sott’occhio il bambino di casa; e il padre (Giulio Beranek), assente giustificato, è colui che al contrario non vede, intrappolato nel dolore e nella colpa, perdendosi per primo la fanciullezza del figlio. In ultimo, lo sguardo di Timo: incredibile concentrato di potenza; sempre lucido nelle situazioni più ingiuste, più forte del padre nel momento della caduta dei miti dell’infanzia. Ma è attraverso lo sguardo di Timo – di Mastromauro – che il film compie la sua operazione catartica definitiva, di salto nel vuoto incolmabile dell’interiorità. La perdita di Timo diventa, allora, la perdita del mondo, una perdita di tutti. Lo sguardo finale si scioglie in lacrime, ma la giostra adesso riparte.
Inverno [Timo’s winter, Italia 2020] REGIA Giulio Mastromauro.
CAST Christian Petaroscia, Giulio Beranek, Babak Karimi, Elisabetta De Vito.
SCENEGGIATURA Andrea Brusa, Giulio Mastromauro. FOTOGRAFIA Sandro Chessa.
MUSICHE Bruno Falanga.
Drammatico, durata 16 minuti.