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In questo numero

74ª edizione del Festival di Cannes

sabato 17 Luglio, 2021 | di Redazione Mediacritica
74ª edizione del Festival di Cannes
Festival
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Le mini recensioni dei nostri inviati

domenica 18 luglio 2021

VORTEX di Gaspar Noé 

Un critico ha scritto, in ode al film, che Noé si era calmato, era diventato gentile, e che aveva colto il cuore del pubblico. Sicuramente, il film ha un altro passo rispetto a Climax o ad altri suoi exploit: la storia di due anziani che si avvicinano alla malattia e alla fine dei loro giorni sempre più divisi (da qui lo split screen, facilissimo escamotage stilistico di matrice Mike Figgis) si presta all’elegia. Ma Noé non è diventato un romantico, è sempre il solito provocatore le cui bizzarrie possono esaltare o irritare, i cui giochini stilistici possono far godere oppure annoiare e ci tiene che il pubblico si divida, discuta e litighi per i suoi film. Anche in Vortex, nonostante le apparenze, continua a prendere in giro i suoi spettatori e a chiederne la pavloviana reazione, in questo caso con mezzi opposti rispetto al solito. Togliendo tutto, prosciugando il film di storia, tensione, emozioni, colpi di scena o di stile, si attacca ai personaggi e li pedina, come un Zavattini drogato. Li fa biascicare e improvvisare, li fa galleggiare nel vuoto e poi, nel finale, piazza il colpo basso, seppure di fattura diversa dal solito. Gli estimatori sentiranno vibrare corde personali, quasi sincere, mentre i detrattori vedranno esposta, come in una radiografia, la vacuità del suo cinema, senza più nemmeno l’estro (coreo)grafico. Noi siamo tra i secondi, ma almeno stavolta non ce la sentiamo di attaccare i primi, e potremmo anche, forse, comprenderli.

venerdì 16 luglio 2021

MARX PUÒ ASPETTARE di Marco Bellocchio

È la chiusura di un cerchio aperto quasi 60 anni fa con I pugni in tasca: quella famiglia reinventata, reinterpretata e fatta a pezzi mostra oggi il suo vero volto in un documentario che, come sempre, non ha paura di far vedere le crepe dell’anima di chi racconta. Un’autobiografia di famiglia che parte da una crepa profondissima, il suicidio del gemello del regista e che, come nella miglior tradizione, riaffiora nel momento della festa, quando la famiglia è riunita. Bellocchio però la sua famiglia non vuole blandirla, anzi sembra aver organizzato tutto – la festa, le riprese – per poter finalmente fare i conti col passato, chiudere quel cerchio, sentire per una volta direttamente pretesti e contesti in cui la tragedia si è sviluppata. Senza cinismo e senza la follia implosiva del suo esordio, ma con una lucidità, un affetto e un’ironia che commuovono e coinvolgono, un film sincero e autocosciente nel legare a triplo filo il cinema e la vita, un’opera sfaccettata che va a segno in modi sempre imprevisti.

giovedì 15 luglio 2021

LES OLYMPIADES di Jacques Audiard

Al bando gli autorialismi e il culto del regista come demiurgo: non riconoscere le marche consolidate di Audiard significa qualcosa? O forse è più interessante notare come il senso della città e degli edifici (Tutti i battiti del mio cuore e Dheepan insegnano) pulsi anche in una storia in cui si sente più la firma delle cosceneggiatrici – Céline Sciamma e Léa Mysius – che del regista? Amori passeggeri e sentimenti resistenti, la solitudine come malattia o come antidoto in una periferia moderna che però, anche grazie al bianco e nero, fa trasparire un senso del cinema che non corre il rischio di invecchiare, che reinventa la Nouvelle Vague (e le sue discendenze, basti pensare a Hong Kong e Taiwan negli anni ’90) e la porta a dialogare con il rap “banlieusard” o le chat porno. E Audiard, che è regista parecchio intelligente, non fa dello stile una bandiera, ma una porta per entrare dentro altri stili, per raccontare e raccontarsi senza doversi necessariamente mettere in mostra. Che si esaltino (di nuovo) i film, il cinema, i registi e gli sceneggiatori, prima che gli “autori”.

giovedì 15 luglio 2021

THE STORY OF MY WIFE di Ildikó Enyedi

Se il precedente Corpo e anima passava dai sogni per arrivare al corpo, prima negato e poi accettato, qui la regista sembra fare il contrario: passioni e pulsioni si rarefanno, diventano psicologia, diventano trattenuto melodramma sul filo del cerebrale. The Story of My Wife è un film raffinato, quasi accademico, eppure a ben guardare gli spazi di approfondimento, di apertura a realtà più profonde di ciò che si vede non mancano: peccato che nel lavoro di scrittura e décor si perda la forza dei personaggi, specie quello femminile che resta una figurina, un cliché di sé stessa che contraddice il lavoro che Enyedi fa sul testo (all’origine c’è un famoso romanzo ungherese). Seydoux, femme fatale per tutto il film, non ha uno scarto, come se la regista volesse inchiodarla al suo essere solo una fantasia, non una donna. Formalmente e figurativamente il film è notevole, ma il suo fascino resta nelle intenzioni, freddo, forse un po’ evanescente.

mercoledì 14 luglio 2021

TITANE di Julia Ducournau

Ecco cos’è l’ambizione: fare il passo più lungo della propria gamba e spezzarsela, allungarla fino a superare ogni limite e farlo divenire un vantaggio. Al secondo film, Julia Ducournau parte da Cronenberg, dal post- Crash e lascia il timore dell’opera seconda (dopo il successo di Grave) per gettarsi a capofitto in un’opera che inventa, sperimenta, spiazza di continuo e va a fondo, nel corpo e nel cervello, nel sangue e nella filosofia che c’è dietro. Da Cronenberg, appunto, si parte, ma si arriva dentro una visione e un’esperienza fisica e intima personale, che fa a pezzi gli stereotipi dell’immagine contemporanea per dar loro un’identità nuova, che sappia dialogare con le forme umane e cinematografiche del presente. Titane è un film violentissimo e struggente, disperato ma umanissimo, che sa controllare uno stile ardito senza mai farlo sembrare cerebrale, anzi raggiungendo quasi una mistica del corpo che dello sguardo e della sensibilità si fa arma. Non sappiamo se il migliore, ma il più travolgente del festival, quello che cresce dentro con più intensità.

martedì 13 luglio 2021

PETROV’S FLU di Kirill Serebrennikov

C’è un’epidemia nell’aria (il film è stato realizzato nel 2019, Avanti Covid), c’è la follia di un paese e la follia del cinema. A Kirill Serebrennikov, autore il cui percorso politico-giudiziario rischia di oscurare il suo talento filmico, piace spiazzare sempre, da film a film e anche dentro lo stesso film. Petrov’s Flu in quasi due ore e mezza scompagina le carte del Grande Cinema Russo e della Grande Letteratura Russa, con un grottesco prossimo al delirio che, prima di dimostrare qualcosa, mostra tanto sé stesso quanto il caos in cui vive il paese. Si resta combattuti tra l’apprezzamento per l’ambizione, il talento, il coraggio fuori da ogni schema e logica, l’irritazione per un accumulo di situazioni e metafore che rischia di non condurre da nessuna parte. Forse, però, il film non cerca di andare in una direzione precisa, non c’è la minima voglia di unitarietà. Lo spettatore si perde di continuo, forse è questo il gioco del regista, e allora, beato lui beati noi, non gli resta che aggrapparsi al cinema, alla sua forza impressionante: guardare i 20 minuti di piano sequenza per credere.

lunedì 12 luglio 2021

TRE PIANI di Nanni Moretti

Si sente che Tre piani è il primo film di Moretti basato su materiale non suo, sull’omonimo romanzo. Perché il film, suddiviso in tre livelli narrativi, temporali, psicanalitici, fatica a trovare una sua via stilistica, un tono che sappia amalgamare il senso del cinema di Moretti e quello del racconto della scrittura. Moretti, come attore e come regista, sembra avere preso sul serio, troppo, le indicazioni che Margherita Buy dava ai suoi attori in Mia madre: resta sempre di lato al film e ai personaggi, sembra non trovare quella secchezza austera che a tratti pare gesso sconcertato. Poco a poco, con il crescere della vicenda, cresce anche il coinvolgimento e il film acquista una sua dimensione narrativa ed emotiva, come quel finale musicale che si emancipa dal peso romanzesco.

sabato 10 luglio 2021

LET IT BE MORNING di Eran Kolirin

Ha fatto pochi film Kolirin, dopo il travolgente successo del suo esordio, La banda, e sembra ancora che stia cercando un’identità. Non che sia necessaria, se si riesce a fare film convincenti, cosa che al regista non riesce, come conferma anche il suo ultimo film. La storia di un paradossale confinamento che vorrebbe leggere, come molti altri prima di lui, il conflitto israelo-palestinese in una chiave al confine del surreale, sempre un passo prima del dramma o della burla (come farebbe il geniale Suleiman). A furia di stare un passo indietro rispetto a tutto, il film non va da nessuna parte, traccheggia coi personaggi in attesa degli eventi ma non riesce a descriverli in modo convincente, non trova mai lo spirito giusto per rendere forte un racconto già sentito. Colpa di una regia spenta, purtroppo.

venerdì 9 luglio 2021

WHERE IS ANNE FRANK di Ari Folman

È sicuramente un film meno inventivo dei suoi precedenti e in definitiva meno bello di Valzer con Bashir e The Congress, ma questa attualizzazione della vicenda di Anna Frank – che in parte deriva da una graphic novel a cui Folman aveva lavorato – e del suo diario, ha tutt’altro tipo di ambizioni e di target. È un film didattico, in un certo senso, pensato per i ragazzi e per il grande pubblico, che riesce a coinvolgere – nei suoi limiti – e ad emozionare con un racconto semplice e una realizzazione del tutto all’altezza del progetto. Un passo indietro in senso artistico probabilmente, ma in nome di un’operazione educativa e di memoriale di cui è impossibile dire male.

giovedì 8 luglio 2021

ONODA, 10000 NUITS DANS LA JUNGLE di Arthur Harari

Questa è la storia, mitologica e proverbiale, dell’ultimo giapponese rimasto a combattere la guerra (in realtà, tecnicamente fu il penultimo). Quello vero, Hiroo Onoda, per circa trent’anni nella foresta filippina, isolato dal mondo, ignaro della resa del Giappone. Arthur Harari si è immerso in quella giungla, che è prima mentale ed esistenziale e poi naturale, e ne ha tratto un’opera quasi fluviale, ondivaga e ostica come la vicenda narrata, tutta concentrata su un delirio che parte dal generale (la guerra, il sistema militarista, l’ossessione patriottica), sprofonda nell’intimo e torna, in un commovente finale, a dialogare con lo spettatore in un quadro più ampio. Non per tutti, ma è un film che sa insinuarsi sottopelle.

giovedì 8 luglio 2021

THE SOUVENIR PART II di Joanna Hogg

Continua, forse finisce, la parabola di formazione artistica probabilmente autobiografica che dopo un primo capitolo algidissimo, cerebrale, asfissiato dai tableaux vivants per non sembrare banale, si “apre” almeno un po’. Non aspettatevi un melò sulla creazione artistica o sulla figura femminile, ma perlomeno il maniacale impegno con cui Hogg costruisce l’immagine esce dal film stesso, prova a trovare una via di comunicazione con lo spettatore inconsapevole, non avvertito o praticante il cinema della regista. Ci riesce, coerentemente, grazie all’arte, al cinema (il film nel film, davvero bello) e alla musica che nel finale irradia con Anna Calvi. Si ha sempre l’impressione che a Hogg non interessi poi tanto ciò che sta guardando, cosa ci sia dentro l’inquadratura così raffinatamente composta, ma almeno, nel rendere esplicito il puro, elaborato e cosciente manierismo di cui è fatto il film, fa affiorare anche un’emozione.

mercoledì 7 luglio 2021

ANNETTE di Leos Carax

Forse i fan del regista rimarranno delusi: Annette poteva essere più esplosivo, più folle nella messinscena, più delirante di sentimenti e forme. Forse. Oppure è solo una questione di elaborazione di un film che pare molto pensato. Ciononostante, almeno per noi, Annette è un grande film. Un musical che fa scontrare in modo imprevedibile l’immaginario della fiaba (Pinocchio su tutti, anche nella versione funebre di Spielberg, A.I. – Intelligenza Artificiale) e quello dell’opera, con le splendide musiche e canzoni degli Sparks a dare una piega modernissima al film. Annette parla delle ombre dell’arte e di quelle del cuore, riscattandole poi con una forma pulsante di colori netti, stordenti, come un’aria in verde maggiore, in cui le sfumature non esistono, sia quelle cromatiche che quelle narrative. È possibile che il portato teorico del film non sia stato del tutto messo in pratica, ma di fronte a idee visive e registiche di tale livello, all’uso delle scene e delle immagini che continua a reinventare le forme primigenie del cinema sempre in modo sorprendente, di fronte a un romanticismo – anche in senso storico – così spudorato, ci togliamo il cappello.

martedì 6 luglio 2021

THE STORY OF FILM: A NEW GENERATION di Mark Cousins

Come storico, Cousins è molto discutibile, per l’approccio soggettivo e per le idee con cui traccia i suoi percorsi divulgativi; come critico e cineasta, però, non gli si può negare una capacità di stupire e coinvolgere. In questa appendice al suo monumentale The Story of Film: An Odyssey di dieci anni fa, Cousins cerca di mappare il cinema contemporaneo: già solo come gesto – in una critica “alta” che è invece irrimediabilmente passatista – è giusto e importante. Che poi questa mappa, delineata attraverso scelte molto personali e quindi molto discutibili (le assenze contano e fanno più rumore delle presenze), sia anche sfacciatamente difesa con idee di critica e di rapporto tra immagini, contesti e personalità forti e affascinanti, che tirano un modo di sentire e pensare i film non convenzionale, rende il film anche bello.

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