Chinese Dream
“La Cina è vicina” diceva Bellocchio nel 1967, un’affermazione che oggi è quantomai attuale: Jessica Kingdon con il suo documentario ci dimostra quanto, oltre ad essere “vicina”, sia diventata una potenza in forte e competitiva ascesa a livello sociale ed economico.
Candidato come miglior documentario agli ultimi Oscar, Ascension spiega il reclutamento di forza lavoro da parte di fabbriche manifatturiere di ogni tipo, con richieste e condizioni di lavoro tra le più disparate, per fotografare il grande Stato asiatico e il suo tessuto sociale, analizzando il complesso sistema del lavoro e gli strati sociali che popolano il Paese.
Una dittatura per parte del mondo occidentale – abituato però a una sua definizione ben più nera -, un’opportunità di crescita per chi invece ci abita e la conosce da vicino. Di sicuro la libertà individuale e di parola è limitata, ma se si scava più a fondo si possono forse trovare dei lati “positivi”. Di ciò ci parla Ascension senza giudicare, ma mostrando l’evolversi delle giornate e della vita quotidiana di una popolazione che apparentemente sembra serena. Un viaggio che parte dalla gente che ha abbandonato le campagne per arrivare ai nuovi ricchi, futura classe dirigente. Nessuna voce over, solo un flusso di immagini che raccontano la vita – con un lavoro esemplare sul montaggio e sulla messinscena che non si limita a collegare immagini e concetti, ma che si insinua tra le persone e i loro gesti – fatta di catene di montaggio e istruzioni sul comportamento da avere in società. Volti che scrutano un futuro roseo, almeno sulla carta, che non dimostrano fatica o desideri: il sogno cinese ha surclassato quello americano; cambiano gli obiettivi ma non le aspirazioni. Ascension è chirurgico nell’esporre la sua tesi: il sogno americano è collettivo, nel paese di Xi Jinping è individuale, ma volto al benessere della collettività. Qui si ritiene, infatti, che se ognuno fa la sua parte tutti ne gioveranno, un assunto che non può che dimostrare la coesione di una società non competitiva ma convinta di potersi arricchire senza dover per forza annientare il prossimo.
Il documentario fa vedere che, come accadde in Occidente all’indomani del secondo conflitto mondiale, la povertà è quasi annullata, ognuno può avere un reddito, anche se chiaramente cambiano i guadagni in base al lavoro che si fa. Jessica Kingdon utilizza il medium cinematografico con tutte le sue sfaccettature a partire, come detto, dal montaggio fino ad includere una colonna sonora che esalta la pomposità di alcuni momenti: su tutto la creazione meticolosa e quasi maniacale di alcuni oggetti di uso comune (vedi i tappi per i dispenser di creme e bagnoschiuma) che le fabbriche producono senza sosta.
La Cina è ormai all’avanguardia, non produce più solo le “cinesate” che troviamo nei negozi, ha una sua caratura produttiva e il suo popolo si confronta sempre di più con quello occidentale. Singolare è la sequenza in cui ci viene mostrata la lezione di un gruppo di giovani che imparano a mangiare con forchetta e coltello e a riconoscere cibi come prosciutto o vini pregiati.
Come nel finale – in cui in un’unica inquadratura vediamo una influencer che si fa fotografare nel giardino di un hotel di lusso, e dietro di lei un giardiniere curvo a rizollare la terra – Ascension cerca di mostrare il progresso e il rovescio della medaglia di una società sì in crescita ma non senza contraddizioni.