Tra letteratura e lavoro
Presentato alla Quinzaine des réalisateur di Cannes 2021, Tra due mondi è il terzo film di Emmanuel Carrère, che qui fotografa il mondo del lavoro, in modo particolare quello usurante e sfruttato degli addetti alle pulizie.
L’opera racconta la storia di Marianne (Juliette Binoche), una scrittrice parigina che per pubblicare un libro sulla crisi economica e la precarietà si trasferisce a Caen, in Normandia, fingendosi una donna di mezza età senza qualifiche ma con urgente bisogno di un impiego.
Un espediente che le permetterà di entrare in contatto con i centri occupazionali e di lavorare per alcune ditte di pulizia, provando in prima persona i turni massacranti che molte donne vivono quotidianamente. Una vicenda con cui l’autore descrive con precisione un mondo fatto di povertà e sfruttamento, nel quale l’unica ancora di salvezza è la solidarietà – e talvolta l’amicizia – tra lavoratori e lavoratrici. Questo in un film che ha i tratti temperati del cinema di Laurent Cantet e Stephane Brizé e l’approccio emotivo di Ken Loach, del quale non possiede però la stessa rabbia militante. L’aspetto potenzialmente più interessante di tale lungometraggio non risiede tanto nei punti citati, quanto nella storia stessa della scrittrice, che decide di avere un contatto diretto con la realtà che intende raccontare, fino a individuare una persona particolarmente rappresentativa del contesto socioeconomico di riferimento. Elementi narrativi che avrebbero potuto far affiorare discorsi letterari come il rapporto tra autore/realtà e autore/personaggio, temi che lo stesso Carrère romanziere conosce bene, come dimostrano opere quali L’avversario e Limonov, basate in buona parte sulla conoscenza diretta che l’autore aveva dei rispettivi protagonisti.
Peccato però che l’opera non sviluppi appieno tali aspetti, facendoli emergere quasi esclusivamente con la voce narrante di Marianne, in quello che è sì un chiaro rimando alla letteratura, ma che risulta al tempo stesso un espediente un po’ scolastico e didascalico che non riesce a sottolineare la questione con la giusta forza e l’adeguata profondità.
È invece affrontato in modo leggermente più efficace l’incontro tra i due mondi evocati dal titolo italiano del film: quello borghese di Marianne e quello proletario degli altri personaggi. Un confronto che emerge gradualmente nella seconda parte della vicenda fino a un finale amaro e non consolatorio, che traccia una distanza netta tra due classi troppo differenti perché riescano a comunicare per davvero.
Il risultato complessivo è un’opera semplice anche se potenzialmente stratificata, magari meno interessante e incisiva di altri titoli francesi sull’argomento (i film di Brizé in primis), ma comunque lodevole per sobrietà, empatia e scorrevolezza.