Le forme della parola
L’incontro tra letteratura e cinema ha sempre creato intense discussioni e ha spesso presentato grandi complessità nella trasposizione dall’uno all’altro linguaggio. Sono molti i grandi scrittori che nel corso del Novecento hanno intrapreso l’avventura cinematografica con scarso successo e ancor più sono gli autori e le opere letterarie che non hanno avuto degne rappresentazioni sul grande schermo. Philip Roth è uno di questi e il suo stile è stato spesso considerato troppo complesso da tradurre in immagini, portando ad adattamenti deludenti e parziali. Con Tromperie, invece, Arnaud Desplechin riesce a dar vita splendidamente alle suggestioni rothiane adattando il romanzo Inganno, pubblicato nel 1990.
Ambientato nella Londra del 1987, ha come protagonista Philip, uno scrittore americano trasferitosi in Inghilterra con la moglie. Il racconto ripercorre i rapporti che egli ha avuto con le molte donne che hanno scandito il suo passato e in particolare con l’attuale amante, interpretata da Léa Seydoux. Philip annota ogni conversazione, traendone ispirazione per i suoi libri.
Non è semplice immaginare un adattamento cinematografico di un romanzo come Inganno. È un flusso frammentario di parole, composto unicamente da dialoghi senza nessun contorno, senza una narrazione forte. Solo conversazioni tra il protagonista e le donne della sua vita, parole che si animano e che si caricano di mille significati oltrepassando e congiungendo luoghi, tempi, realtà e immaginazione, come liberi fantasmi. Non sorprende che Desplechin abbia scelto questo libro in particolare e che sia riuscito a evocarne e ad espanderne l’anima, dal momento che il suo cinema fantasmatico, frammentario e improntato sulla rappresentazione si muove su simili suggestioni. Il regista francese non cerca reinterpretazioni e si affida al testo di Roth, riprendendone i dialoghi, talvolta anche parola per parola, e ricreando attorno ai protagonisti ambienti mutevoli, che scivolano via come sospiri. Parole e immagini si fondono, si rincorrono e si evocano vicendevolmente, trasformandosi in gesti d’amore.
È proprio l’amore a fare da collante a ogni frammento. Philip ama le donne e il loro riflesso su di lui. Ama amare e l’idea stessa dell’amore, composto da fantasmi, ricordi, addii e nuovi incontri plasmati dalle parole. Tali esperienze sfociano direttamente nel processo creativo, con la scrittura di libri con cui Philip rievoca e dà forma ai propri rapporti passati, indagando su sé stesso attraverso di essi e ricercando la vita e la realtà nella rappresentazione. Non è quindi un caso che con l’amante inglese si incontri soprattutto nello studio in cui lavora; al tempo stesso alcova e luogo di creazione.