Se questa è una coscienza
Laurent (Jean Dujardin) è un manager in trasferta per un congresso. Nell’ultima notte della sessione, tutti i suoi sforzi sono concentrati nel tradire la moglie lasciata a casa: ci prova con una receptionist spagnola, con una collega e poi con un’altra collega. Partecipa alla festa in una stanza di hotel ma senza riuscire a destare attenzioni. La notte scorre velocemente e l’uomo si rivela inetto, non riesce a raggiungere il suo obiettivo. Il sogno dell’adulterio finisce all’alba, così Laurent mantiene la coscienza “pulita”.
Michel Hazanavicius nel 2012 gira La bonne conscience, un frammento del film corale a episodi Les infidèles, prodotto da Jean Dujardin. Lo fa proprio col suo attore feticcio, il Dujardin di The Artist uscito l’anno precedente, che già nell’incipit al convegno non si concentra sulla materia trattata, bensì osserva le gambe di una donna. Da quel momento in poi sarà una veloce traversata per raggiungere l’intento, nell’arco di una nottata scandita dalla classica immagine dell’orario che avanza. All’inizio non sappiamo chi sia Laurent, da dove venga e perché si comporti così: solo in un secondo istante apprendiamo che ha moglie e prole a casa, quando intavola una videochiamata con la donna mentre con l’altra mano cerca una escort nei dintorni.
La prima possibilità di tradimento riguarda una bella receptionist spagnola, dal fascino esotico, che svela il machismo del protagonista ormai maturo e con la pancetta, intento a rimirarsi nudo davanti allo specchio. L’iniziativa fallimentare di Laurent viene acuita dal confronto con un altro collega, interpretato da Gilles Lellouche, per giunta in sedia a rotelle che lo batte in fascino perché grande venditore e seduttore. La lunga notte di Dujardin prosegue: al party rivela tutto il suo essere fuori luogo, mostrandosi come lo zimbello che racconta barzellette noiose, nessuno lo ascolta. Si riduce allora alla masturbazione solitaria, ma anch’essa è un coito interrotto. Va peggio quando bussa alla porta di una collega dove viene subito rigettato. E la situazione non migliora ripiegando su Christine, l’ultima spiaggia, una donna non bella che si domanda “perché proprio con me?”, intuendone le intenzioni. E fa calare il sipario sull’ipotesi di adulterio che sfocia in un’imbarazzante conversazione notturna, in cui i due non sanno più cosa dirsi e come muoversi. Lo scenario, all’alba del giorno dopo, diventa il pretesto per l’ennesima presa in giro dei colleghi.
Laurent è paradigma di mascolinità tossica, ma è soprattutto un personaggio ridicolo: è il dramma di un uomo patetico che non tradisce la moglie solo perché incapace di conquistare una donna, mantenendo un’ipocrita coscienza pulita perché nessun atto viene consumato. L’inetto alla fine scriverà alla moglie quanto gli manca, in assenza di altro. L’uomo potrà così continuare la propria autoscrittura, vedendosi come gran conquistatore (solo secondo lui) senza lasciarsi sfiorare dall’amara realtà. Hazanavicius nell’arco di 23 minuti conduce il gioco attraverso una sapida commedia, avvolta nella regia veloce e nel montaggio serrato, sostenuta dall’impagabile faccia di bronzo di Dujardin. Il suo è un breve apologo sull’infedeltà maschile, sulla pavidità che passa dalla sopravvalutazione di sé, sul maschilismo dominante anche quando il maschio è tutt’altro che forte, anzi ridicolo e sottilmente patetico. Un’istantanea spietata sull’uomo di oggi, che resta fedele ma solo per i propri limiti. L’episodio fu poi rifatto in Italia nel remake Gli infedeli di Stefano Mordini (2020), con Riccardo Scamarcio nella parte di Jean Dujardin.