L’ipocrisia del potere
Blanco è il proprietario di una ditta spagnola di bilance industriali arrivata in finale a un premio per l’eccellenza. Proprio nei giorni in cui si aspetta la visita della commissione incaricata di scegliere l’azienda alla quale assegnare il riconoscimento, tutto sembra andare storto: un dipendente licenziato protesta davanti allo stabilimento; il responsabile di produzione sbaglia tutto perché distratto dalla sua crisi matrimoniale; una nuova attraente stagista si rivela più furba e “minacciosa” del previsto. L’imprenditore farà di tutto per risolvere questi problemi.
Durante la stagione cinematografica 2021/22 sono usciti diversi film che tramite la descrizione del mondo del lavoro hanno criticato l’attuale sistema economico. Lo hanno fatto non solo raccontando storie di proletariato o di ceto medio impoverito (come nel caso di Tra due mondi di Emmanuel Carrère e Generazione Low Cost di Julie Lecoustre ed Emmanuel Marre) ma anche attraverso vicende di manager e imprenditori, come nel dramma rigoroso e realista Un altro mondo di Stéphane Brizé o in questa commedia nera di Fernando León de Aranoa.
Il regista spagnolo, con Il capo perfetto, sembra seguire le orme della commedia all’italiana, che pur avendo pochi eredi nel cinema contemporaneo, ha influenzato sia registi nostrani sia autori internazionali, come, ad esempio, agli argentini Gastón Duprat e Mariano Cohn (Il cittadino illustre, Finale a sorpresa – Official Competition). Similmente alle pellicole di Monicelli, Risi e Comencini, l’opera di Aranoa, si distingue per l’umorismo amaro, la cattiveria di fondo e la volontà di portare avanti una sferzante satira sociale, in tal caso indirizzata al mondo del lavoro e alla classe dirigente. Una serie di caratteristiche che emergono non solo attraverso il susseguirsi delle singole situazioni tragicomiche che costruiscono la vicenda, ma anche tramite una narrazione precisa e matematica, scandita nei giorni della settimana che mancano alla visita della commissione giudicatrice: qui i problemi dei personaggi si aggravano giorno dopo giorno, così come aumenta la nostra conoscenza del passato e dei metodi del protagonista, che si rivela un uomo molto diverso da come appare. Se all’inizio Blanco sembra un datore di lavoro molto altruista e generoso, man mano che la storia prosegue esce fuori il suo cinismo, la sua abilità manipolatoria e la sua disponibilità a commettere qualsiasi azione pur di ottenere i risultati voluti. Qui la maggior parte degli elementi satirici sono indirizzati verso l’imprenditore e non è quindi casuale che, proprio come in molte commedie all’italiana, tutto ruoti attorno al protagonista e al suo interprete, Javier Bardem, vero e proprio mattatore che in quest’opera dimostra il suo talento comico con un’interpretazione dove alterna momenti flemmatici e sottotono a espressioni più evidenti e sopra le righe. E se attori come Sordi, Gassman, Tognazzi e Manfredi rappresentavano le diverse sfumature dell’italiano medio, ne Il capo perfetto il protagonista risulta l’emblema dell’attuale classe dirigente, che spesso afferma di essere solidale, inclusiva e aperta, ma che in realtà continua a perpetuare iniquità e diseguaglianze sociali, mascherandole però con slogan progressisti. In tale direzione, risulta alquanto significativa la bilancia leggermente sbilenca che sta all’ingresso dello stabilimento, poiché simbolo sia di quella stabilità (quasi) impossibile che l’imprenditore cerca per se stesso e per l’azienda sia di un sistema in cui la giustizia risulta assente e truccata, in quanto abilmente manipolata da chi detiene il potere. Contenuti che apparentano l’opera in questione non solo alla commedia all’italiana, ma anche al cinema sociale contemporaneo e, in particolare, al succitato e più drammatico Un altro mondo di Stéphane Brizé. Ma se nel film del regista francese viene sottolineata la complessa architettura globale su cui si basano il capitalismo e la finanza attuali, nel titolo di Aranoa si evidenzia l’ipocrisia di un potere tanto spietato quanto ammantato di falsi principi.