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Asghar Farhādi con il pubblico di Gorizia

venerdì 22 Luglio, 2022 | di Eleonora Degrassi
Asghar Farhādi con il pubblico di Gorizia
Asghar Farhadi
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Asghar Farhādi, Premio Oscar per Una separazione e per Il cliente, incontra il pubblico di Gorizia durante il Premio Sergio Amidei per dialogare sul suo cinema, sull’amore per le storie, per il neorealismo italiano e per Kiarostami

Il potere della narrazione

Viene accolto da una sala piena il regista, sceneggiatore e produttore cinematografico iraniano Asghar Farhādi (Premio Oscar per Una separazione e per Il cliente), giunto a Gorizia per ricevere il Premio Speciale all’Opera d’autore del 41° Premio Sergio Amidei

È capace di raccontare un’interessante storia personale e al tempo stesso farla diventare una metafora della società, come sa portare sullo schermo i conflitti quotidiani di una comunità e sviscerare il senso universale della verità e dell’onestà. Nell’incontro con il pubblico moderato da Roy Menarini e Massimo Gaudioso, si parla delle origini e delle fondamenta della sua poetica, del suo amore per il cinema, della “banca dei sentimenti”, traccia lasciata dentro, tipica dell’infanzia a cui attinge per le sue opere, del racconto “indiretto” della dimensione sociale dell’Iran. 

Asghar Farhādi

È autore rigoroso che prima di tutto ama il narrare. Così si scopre un piccolo Farhādi, nipote affascinato dalle favole del nonno. Un bambino che di nascosto, assieme ad un amico, prende i mezzi per andare in un’altra città a vedere un film e, arrivato in ritardo alla proiezione, trascorre tutto il viaggio di ritorno e i giorni successivi a pensare al possibile inizio di quella storia. Una persona così innamorata dei racconti non può che diventare un autore, padre di un cinema potente, intriso di umanità, in grado di dare immagine e voce a uomini e donne e alle loro difficili relazioni. La sua filmografia è un’istantanea di una società che è contenitore di storie; con un rigore quasi chirurgico il cineasta sottolinea come società e vita siano fatte della stessa materia ed è proprio scavando e togliendo gli strati di quest’ultima che si arriva al nocciolo. Nonostante la banalità e il poco senso di ciò che capita all’essere umano, la vita ci colpisce e non è un caso, infatti, che il neorealismo italiano sia così importante per lui. La crisi che mette in moto la narrazione nel neorealismo è la stessa che scava la realtà nei film di Farhādi tirandone fuori gli aspetti più profondi. Nel suo cinema responsabilità, verità e giustizia sono temi ricorrenti, soprattutto alla luce delle condizioni che portano l’essere umano a fare una determinata scelta. È l’umanità ad essere centrale nelle sue storie ed è per questo che con gli attori non lavora sulle sceneggiature in senso stretto, vuole che si immergano completamente nei loro personaggi dimenticando il ruolo dell’attore. Lo spettatore non si deve accorgere della presenza del regista – ironicamente dice che vorrebbe fosse eliminato – che “crea un’ombra tra spettatore e film”, deve pensare che “la vita stia accadendo” di fronte ai suoi occhi. Per essere ancora più chiaro cita la bellezza dei mosaici delle moschee, il visitatore pensa alla bellezza in sé non a chi li ha creati, così dovrebbe succedere per qualunque altra opera d’arte. Chi guarda ha un valore fondamentale per Farhādi e lui vuole dargli la libertà di cambiare idea sui personaggi, sollevandolo dalla “dittatura del regista” che spesso vuole dirgli cosa pensare. Allo spettatore consegna il ruolo d’ispettore che deve analizzare, comprendere, dialogare con il testo, non a caso, infatti, nei suoi film, rispetto al noir occidentale, non esiste la polizia. 

L’incontro si conclude con un racconto/ricordo molto emozionante di Abbas Kiarostami a cui Farhādi ha voluto molto bene. Il regista sottolinea come Kiarostami sia stato fonte di ispirazione per i suoi film e, commosso, riporta alla memoria quanto il collega, amico e maestro non amasse salutare e se ne andasse prima del momento.

L’incontro e la premiazione acquistano un valore ancor più importante perché il suo lavoro, racconto dell’ingiustizia sociale, delle relazioni di coppia, della burocrazia del suo Paese, a partire da About Elly (2009) fino a Una separazione (2011), Il cliente (2016) e Un eroe (2021) è espressione dei valori di apertura, condivisione, convivenza – e non è un caso che durante la conferenza stampa abbia speso tenere parole verso i registi arrestati una settimana fa in Iran – propri anche del Premio Amidei.

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