Big damn heroes
Ci sono cose che misteriosamente accadono, «come la comparsa dei biscotti Togo al cioccolato». O come Lost e la perfetta coincidenza storico-mediale in cui è nato e fiorito. Così, parlare di Firefly senza il suo contesto, come se non fosse stata maltrattata dal network e cancellata dopo pochissimi episodi, e, dopo ancora, rimpianta e vagheggiata e sognata da legioni di fan, è pressoché impossibile.
C’è un futuro abbastanza lontano in cui la terra è diventata invivibile e l’umanità ha conquistato, terraformandoli, nuovi pianeti: lo spazio è la nuova Frontiera, al centro c’è un’Alleanza che si dice democratica e liberale ma è ovviamente totalitaria e manovrata da grosse corporation, ai margini piccoli mondi e corpi celesti, semicolonizzati e ancora in parte selvaggi, dove il potere centrale è un po’ più lento e tutto può succedere. Il capitano Malcolm Reynolds una volta era un soldato. Ribelle: ha lottato perché il suo paese non fosse conquistato, e ha perso. Ora fa il contrabbandiere, ha chiamato la sua (astro)nave – un mezzo rottame – come la battaglia della definitiva sconfitta, ha messo insieme un equipaggio e, per caso o per fato, si ritrova a bordo una ragazzina stramba e forse pericolosa su cui l’Alleanza vuole a tutti i costi mettere le mani. Il viaggio di Mal e della sua crew – che poi è l’ennesima famiglia allargata, composta di misfit e outsider, creata da Joss Whedon – parte come una resistenza quotidiana e avventurosa, prende tutti i topoi del western e le sue figure iconiche (cavalieri solitari, mercenari, fuorilegge, prostitute toste, pastori saggi, e via discorrendo) e li appoggia su un tappeto ampio di fantascienza distopica e di space opera. Comincia come una fuga gonfia d’orgoglio e speranza («We’re still flying» «It’s not much» «It’s enough») e termina con una chiamata all’azione, all’insurrezione («No more running. I aim to misbehave»). Alla sua prima prova post Buffy & Angel, Whedon apparecchia subito un altro universo finzionale che si intuisce, dal primo minuto, vasto e dalle sconfinate potenzialità d’esplorazione: oltre ai generi di cinema e tv, ibrida l’Occidente con l’Oriente (facendo imprecare in cinese i suoi personaggi, con un solo gesto aggira la censura e arreda un mondo) e informa tutto quanto di commedia, imbastendo dialoghi dal ritmo inappuntabile (e drammaticamente intraducibile) costellati di battute che sembrano fatte apposta per diventare cult. La sovrapposizione tra realtà e fiction fa scintille: impossibile non vedere Joss Whedon come l’eroe solitario tradito a più riprese dall’Alleanza/Fox, costretto a lottare su una barca che resta in aria più per forza di volontà che per altro (come la Serenity); e i suoi spettatori/fan, autonominatisi “Browncoats” come i combattenti indipendentisti, che continuano a lottare, contro ogni evidenza, nella speranza che prima o poi l’epopea di Firefly possa risorgere («You can’t stop the signal» dirà Mr. Universe in Serenity, pellicola che Whedon è riuscito a completare, con sforzo titanico, due anni dopo la cancellazione della serie, per chiudere almeno la storyline di River). Per tutti gli altri, Firefly è “solo” una manciata d’episodi di divertimento fluido e avventuroso, qualche volta sinceramente commovente (Out of Gas), qualche altra esilarante (Jaynestown), aggregata attorno a nove personaggi che sono contemporaneamente archetipi narrativi e caratteri indubitabilmente umani. Big damn heroes, a cui nessuno, davvero, potrà togliere il cielo.
Firefly [id., USA 2002-2003] IDEATO DA Joss Whedon.
CAST Nathan Fillion, Gina Torres, Alan Tudyk, Adam Baldwin, Summer Glau.
Fantascienza/Western, durata 45 minuti (episodio), 1 stagione (14 episodi).