I pirati stanno bene insieme
La recente serie tv ideata da David Jenkins viene descritta come “period romantic comedy”. È facile capire da dove vengano le parti “period” e “comedy”: è una serie che segue le gesta raramente temibili di un gruppo di pirati scalcagnati e incapaci. Ad ogni modo, è la “romance” che ne costituisce il cuore, e che ci porta in posti molto meno scontati.
Our Flag Means Death si ispira alla vera figura storica di Stede Bonnet alias “The Gentleman Pirate”, un aristocratico dei Caraibi che, nei primi decenni del 1700, abbandonò la sua famiglia per darsi a una vita di crimine nautico a bordo della nave “Revenge”.
Il nostro Stede (Rhys Darby) è un bonaccione ingenuo, che non ha idea di cosa voglia dire veramente essere un pirata; ama le comodità di cui ha imbottito la nave (un’intera biblioteca su un vascello pirata? Un guardaroba all’ultima moda? Perché no), detesta la violenza, si fa regolarmente calpestare dai suoi sottomessi. Tra una disavventura e l’altra, Stede si fa involontariamente molti nemici e finisce per attirare le attenzioni di un pirata molto più cattivo, il leggendario Blackbeard (Taika Waititi, che è anche produttore). Oltre a Stede c’è un intero equipaggio da introdurre, dal segretario di bordo Lucius al cannibale nudista Buttons, dal giudizioso Oluwande al misterioso Jim. Ciascuno di loro, nel corso della stagione, riceve il suo momento di gloria, e spesso anche una trama laterale piuttosto consistente e che cambia il corso della storia principale. Con una crew così ricca da presentare, avrebbe senso che i primi episodi fossero abbastanza scarni dal punto di vista della trama, ma non è così: già nelle prime due puntate succede di tutto. In particolar modo, vengono immediatamente introdotti i big bad della stagione: Rory Kinnear nei panni dell’ammiraglio Nigel Badminton (e più tardi del fratello gemello Chauncey – forse Kinnear ha una fissa per i ruoli multipli?) e Robert “Con” O’Neill nel ruolo di Izzy Hands, il cattivissimo secondo in comando di Blackbeard. Il fatto che ci sia un cattivo, ma vero, che non fa ridere, dà una prima idea del tono unico con cui Our Flag Means Death è costruito: mentre è di base una comedy, e in quanto tale funziona perfettamente, i toni non sono sempre leggeri e la posta in gioco per i personaggi è concreta e serissima all’interno del loro universo. I pirati sono del tutto consci della tragedia delle loro situazioni individuali, e gli autori si regalano spazi di introspezione e momenti per parlare in tutta serietà di amicizia, identità, destino, paura.
Quello che ne esce è uno show completo, con personaggi completi: c’è molto di più di una comedy tradizionale sia a livello di trama, sia a livello di minutaggio, che supera sempre i 20 minuti classici, e a volte si avvicina più ai 40 di un drama. Al centro c’è ovviamente l’istantanea scintilla tra Stede e Blackbeard. La loro totale fascinazione l’uno per l’altro scivola presto in una bromance irresistibile. Ma ancor di più, la loro bromance si trasforma in una vera romance che – questo è un avviso a tutti i naviganti – farà commuovere anche i pirati più duri.
È parecchio imbarazzante doverlo dire nel 2022, ma è una soddisfazione immensa che, per una volta, gli autori non abbiano paura di buttarsi a pesce (perché sono pirati! Capito?) in una storia romantica queer in una serie che avrebbe potuto benissimo ammiccare alla queerness senza arrivare veramente al dunque. Ciò che è ancora più pregevole è che la relazione tra Blackbeard e Stede non è nemmeno l’unica storia queer a bordo della Revenge. Questi dieci episodi sono una storia di pirati, e anche una comedy coi fiocchi.Sono soprattutto una celebrazione di chi è diverso, emarginato, e del fatto che anche in mezzo al mare si può trovare la propria famiglia.