E tu, cosa faresti?
Dopo la fortunata Strappare lungo i bordi, Zerocalcare torna su Netflix con una nuova serie animata che trasforma gradualmente il pensiero del suo autore maturando una nuova linea editoriale.
Se nella sua prima incursione nella piattaforma Zero affrontava una storia più personale e in cui lo spettatore (anche meno pratico dei suoi lavori) poteva facilmente immedesimarsi, adesso tocca tematiche più politiche e sociali ampliando la durata degli episodi e servendosi dell’attualità per rimarcare lo sbando di una generazione.
Questo mondo non mi renderà cattivo racconta il ritorno, nel quartiere di Zero, del “gigante buono” Cesare che, dopo un passato difficile vissuto in una struttura per tossicodipendenti, si troverà ad associarsi a un gruppo di estrema destra che protesta per un centro immigrati aperto vicino a una scuola elementare. Difronte a una persona come Cesare, con cui in gioventù aveva instaurato una solida amicizia e adesso appare ai suoi occhi estraneo e distante, Zero si scontrerà con i propri principi. Chi conosce il lavoro decennale dell’autore troverà ancora una volta tutto ciò che lo ha reso celebre, ma con l’aggiunta di una maggiore consapevolezza del medium utilizzato. Visto il plot, viene da sé che questa è l’occasione per criticare la deriva in cui il nostro Paese sta sempre più sprofondando: paura del diverso, ideologie neonazionaliste, l’ottusità di una classe politica che cerca consensi attraverso lo scontro. Zero affronta queste tematiche strizzando l’occhio al genere poliziesco/legal. Vediamo, infatti, quello che succede attraverso gli interrogatori a cui sono sottoposti i protagonisti in una centrale di polizia per un atto criminoso che è stato compiuto. Questa trovata diventa subito una delle cose più originali della serie, che non si limita a raccontare ma utilizza i meccanismi della serialità live action con topoi e colpi di scena del genere. Ritroviamo nuovamente tutti i personaggi di Strappare lungo i bordi e alcuni di loro, si veda Sarah, vengono approfonditi. Lei è appena diventata di ruolo nella scuola adiacente al centro di accoglienza e, nonostante sia dalla parte dei deboli, ha paura di perdere il posto appena ottenuto e sembra schierarsi contro il mantenimento del centro. Il suo dubbio morale e lo stesso su cui è costruita tutta la serie: noi quarantenni, che abbiamo lottato per avere il nostro posto nel mondo, una volta ottenuto cerchiamo di tenercelo stretto anche a costo di andare contro i nostri principi. Non è per forza una cosa negativa, ma è purtroppo il frutto di anni di precariato, sia sociale che morale, accettati e subiti passivamente, e anche Cesare lo rappresenta bene: lui non è fascista o contro gli immigrati, si incazza perché adesso, dopo anni bui, vorrebbe il diritto di rifarsi una vita. Da qui si muove la trama orizzontale e, nonostante molti momenti divertenti – soprattutto quelli in cui Zero parla come sempre con il suo fidato Armadillo, rappresentazione della sua coscienza – tutto diventa più concreto e serio. Dopotutto arrivati a una certa età bisogna affrontare la complessità della realtà in cui viviamo. Sta a noi capirla e ragionarci su, come fa Zerocalcare, ricordandoci sempre, e questo gli fa onore, che è la sua visione non quella di un guru che vuole insegnare qualcosa.