Falsi movimenti
Per chi ha seguito le ultime pellicole di Cronenberg pare abbastanza evidente come il regista canadese abbia sensibilmente cambiato il suo modo di fare cinema: una via delirante e ossessiva tanto da essere costantemente provocatoria (propria di buona parte della carriera fino a eXistenZ), mentre l’altra epidermicamente meno turbante e segnata da uno stile molto rigoroso (da Spider in poi).
Ora, qui non s’intende mettere in evidenza le differenze tematiche dei due registri, ma questa premessa risulta necessaria per tenere a mente come questo scarto sia più stilistico che tematico, vista l’estrema coerenza di Cronenberg nei confronti delle proprie ossessioni.
Cosmopolis diviene di fatto il luogo dove le due anime s’incontrano e convivono, e ciò, prima di tutto, è visibile dall’impianto luministico della scena. Nella sua ultima pellicola, Cronenberg torna ad utilizzare delle luci che vanno a colpire frontalmente i volti dei personaggi, ponendo la macchina da presa trasversalmente dalla fonte di luce (ciò avveniva ad esempio ne Il Pasto Nudo o in Crash). Questo va a unirsi all’uso, in contrapposizione a prima, di un marcato gioco di chiari scuri e di una luce gialla che avvolge o contorna i protagonisti (elementi che inizia ad utilizzare abbondantemente da Spider in poi) e che nell’immediato collega all’idea di malattia sulla quale il regista ha da sempre costruito i propri pensieri e riflessioni, mostrando non tanto le conseguenze ma i sintomi che essa provoca. L’impianto luministico non è fondamentale solo per riconoscere in Cosmopolis la convivenza delle due facce di Cronenberg, ma diventa elemento essenziale anche per cogliere il falso movimento che il protagonista compie all’interno della propria limousine: qui le luci sui personaggi non seguono il movimento dell’auto, facendoci percepire un moto fasullo ed evidenziando come tutte le scene siano state girate in green screen. Questo falso movimento di fatto è il segno di un potere incrollabile, indifferente, che diviene costante all’interno della Storia del Mondo, dove tutto può proseguire, distruggersi o ribaltarsi, ma il potere (incarnato dal capitalismo) sarà sempre inalterabile.
“Distruggere il passato, creare il futuro”: è questa la condizione necessaria affinché il capitalismo possa sopravvivere, cancellare le tracce, togliere il movimento alla Storia per convincere tutti a una falsa stabilità. Questa però è prima di tutto una condizione mentale cui dobbiamo essere indotti a credere, perché tutto del capitalismo è incorporeo e impalpabile, un fantasma che vaga nel mondo. Che accadrebbe se a questa condizione mentale si affiancasse una necessità fisica, sessuale, se “la più logica evoluzione degli affari è l’omicidio” e richiede non più uno stato mentale e nemmeno una predisposizione all’agire, ma contrariamente una riscoperta del corporeo (l’errore fondamentale che il protagonista compie è sottolineato proprio dalla sua prostata asimmetrica)?
Si creerebbe un collasso del sistema. L’incorporeo che scopre e necessita del corporeo non è possibile da accettare, l’unica soluzione è l’implosione dell’essere che sostiene il sistema. Ma se l’implosione ci è già stata mostrata in A Dangerous Method, l’unica via rappresentabile è quella di un nulla interiore (l’impassibilità della recitazione) che ricorda tremendamente quello beckettiano, ma che, al contrario dello scrittore irlandese, questo nulla umano si trasforma in buco nero trascinando a sé tutto (non vediamo quasi mai come gli ospiti capitino dentro la limousine) e facendolo sprofondare in un collasso sempre più inevitabile.
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