La guerra è bella anche se fa male
Nell’estate del 1943, a Riccione, Carlo, figlio di un gerarca fascista, sta passando l’estate con gli amici quando conosce Roberta, vedova di guerra con figlia a carico. Tra i due nasce un rapporto sentimentale tormentato che dovrà confrontarsi con i loro rispettivi passati familiari e con il presente di una guerra che sta per cambiare il volto dell’Italia.
Valerio Zurlini, pur avendo vinto nella sua carriera un Leone d’oro, due Nastri d’argento e un David di Donatello, è stato per anni sottovalutato dalla critica e dimenticato dagli studiosi della storia del cinema italiano per poi tornare in auge all’inizio degli anni 2000.
Meno male, perché l’opera del regista bolognese è uno scrigno pieno di piccoli e grandi tesori: Estate violenta è uno di questi. A cinque anni dall’esordio con Le ragazze di San Frediano, Zurlini torna con un soggetto originale legato ai propri ricordi dell’ultima estate che visse prima di andare in guerra, ma lo fa con la prospettiva di un adulto, di un trentatreenne che, a dieci anni dalla fine di quel conflitto, fa i conti con le scorie emotive e affettive che la guerra lascia prima ancora di quelle fisiche. Lo fa con un tipo di racconto che poi scopriremo essere congeniale alla sua specificità d’autore, ovvero il ritratto umano come prisma per leggere la storia, senza giudicarla. La prospettiva da cui il regista legge il passaggio dalla guerra fascista alla guerra civile italiana, tra il luglio e il settembre del 1943, è originalissima, perché racconta la vita quotidiana di un gruppo di ragazzi dentro l’anormalità della situazione storica, assumendo il punto di vista di chi continua a vivere come sempre, nonostante le bombe. Il finale li farà ricredere, soprattutto farà ricredere Carlo. In un’epoca dominata dall’ideologia la presa di posizione di Zurlini non era facile: porre una distanza politica tra sé e gli avvenimenti che lo circondarono, vedendo i partigiani e la loro rivincita sul regime e i suoi adepti come li avrebbero visti dei personaggi vicini al potere, quali sono la vedova di un soldato e il figlio di un gerarca, ossia non capendo la battaglia degli oppositori. Una scelta che fece storcere più di un naso, tra cui quello di Guido Aristarco, che nella sua recensione su Cinema non fu affatto tenero con il film. Questa distanza però è riempita da Zurlini con ciò che ha sempre saputo fare, cioè curare i personaggi, i caratteri che agiscono nel racconto e sullo schermo, dando concretezza alle loro relazioni e tessendo attorno a esse un’atmosfera che potesse renderle sincere e comunicative verso il pubblico: la scelta dei luoghi, delle spiagge e delle case è fondamentale insieme alla fotografia per rendere l’aria del tempo, soprattutto il filtro che la gioventù impone a quell’aria, che sembra anticipare per certi versi di tre anni il conflitto con l’età adulta raccontato da Salce in La voglia matta, fatto anch’esso di case, canzoni, mare e desideri sopiti o da mettere a tacere. Oltre questa sensibilità psicologica però, che è anche la caratteristica più evidente e celebrata dello stile di Zurlini, ci preme notare il gusto e la delicatezza spettacolare del regista, che si incastona proprio nel quadro emotivo del film: l’aereo tedesco in spiaggia, il circo notturno con fiammiferi e sirene, il ballo sotto i fuochi della guerra e lo spettacolare finale del bombardamento alla ferrovia, sono momenti di grande cinema che contribuiscono all’edificazione dei personaggi e del loro sguardo. Ed è forse il dato più bello del film e del cinema di questo regista.
estate violenta. Estate violenta.