Reset
Conclusa ormai da alcune settimane, la quarta stagione di Homeland ha rappresentato per il prodotto Showtime un momento di rottura e al contempo di rinascita.
Unanimemente si riconosce a Homeland, e agli autori Alex Gansa e Howard Gordon, il pregio di aver aperto una falla problematica nel racconto della guerra statunitense al terrorismo post-11 settembre, ribaltandone i ruoli e la dialettica con il tragico personaggio di Nicholas Brody, giustiziato in Iran dopo una dolorosa peripezia individuale alla fine della terza stagione, quando ormai la relazione con Carrie Mathison cedeva a una stanca, elegiaca deriva. Eravamo al punto morto di un’esplorazione drammaturgica a doppia trazione – da una parte Brody, con gli enormi dilemmi morali del suo destino, dall’altra Carrie, biologicamente divisa tra le necessità patriottiche e quelle emotive: quando Homeland sembrava ormai collassato su se stesso, ecco che la serie si rigenerava entrando in un nuovo ciclo narrativo, fondato sul primato di Carrie, sul suo nuovo incarico in Pakistan, sul suo essere madre a distanza senza riuscire a riconoscersi tale, fino al nodo delle sue relazioni familiari e sentimentali – la morte del padre, la riscoperta di una madre che l’aveva abbandonata in tenera età, l’attrazione verso Peter Quinn, la sottile ambiguità del rapporto con Saul Berenson. La nuova ambientazione pakistana incide notevolmente sul risultato della serie, perché la possibilità di ripartire da zero, in particolare con l’individuazione di un inedito nemico nel leader talebano Haissam Haqqani, conferisce alla struttura e all’intreccio nuova linfa preziosa per approfondire la gestione della autorità da parte di Carrie, in una terra straniera dove più di un antagonista complotta segretamente alle sue spalle. Si creano così le premesse per alcuni episodi complessi e riusciti, dove il cuore tematico del racconto diviene – ma potremmo dire: continua ad essere – la perdita del controllo e il prezzo delle sue conseguenze. Ne sono prova diretta almeno due momenti della serie: il tentato avvelenamento di Carrie da parte di infiltrazioni terroristiche, che sostituiscono i suoi psicofarmaci con potentissime droghe e ne provocano un incontrollabile, e televisivamente efficacissimo, delirio allucinatorio, e l’attentato all’ambasciata statunitense in Pakistan, pagina durissima di un intreccio dove Carrie e la sua squadra, primo fra tutti un malcapitato Saul, sono costantemente una mossa indietro rispetto ai propri avversari. Purtroppo la complessità delle prime due stagioni è lontana, ed è proprio il finale a rivelarsi paradossalmente il momento più debole della quarta: più utile a lanciare le premesse di un quinto appuntamento, spezza di fatto la tensione accumulata negli episodi precedenti calando sul futuro della serie un legittimo punto interrogativo.
Homeland [id., USA 2011] IDEATORE Gideon Raff.
CAST Claire Danes, Mandy Patinkin, Rupert Fiend, Nazanin Boniadi.
SCENEGGIATURA Howard Gordon, Alex Gansa.
Drammatico/Thriller, durata 55 minuti (episodio), stagioni 4.