Il potere logora
Uno zombie si aggira per la Corea. La parafrasi ironica della celebre frase di Marx ed Engels risuona spesso, quando si parla di morti viventi: Romero ne ha fatto una bandiera, interpretando il rapporto tra vivi e morti come la nuova frontiera della lotta di classe. In Kingdom, serie scritta da Kim Eun-hee e diretta da Kim Seong-hun per Netflix, la questione è molto più sottile e sfumata, dato che l’audiovisivo dell’Estremo Oriente usa mille premure e cautele per parlare di politica – figuriamoci in un paese in cui lo spettro comunista lo vivono col vicino di casa Kim Jong-un.
Kingdom si svolge sul finire del Cinquecento, poco dopo l’invasione giapponese: in questo contesto turbolento, il principe ereditario parte per un viaggio investigativo, volto a scoprire cos’è accaduto al padre, che da più parti annunciano come morto, senza però alcuna prova. Durante il viaggio, il principe scopre che una minaccia maggiore incombe: una malattia che pare resuscitare i morti.
Gli zombie si prestano a molte differenti interpretazioni e metafore, qui per esempio, in un impeto nazionalista, potrebbero essere i giapponesi invasori o i cospiratori contro il re, opzioni valide, visto che uno dei punti di riferimento visivi e produttivi è il cinema neo-imperialista di Zhang Yimou e affini (da Hero a La città proibita). Però, i due Kim autori di Kingdom, come accade nella serialità, lasciano i morti viventi sullo sfondo, pericolo anonimo e omologante, generico e assoluto, e si concentrano sul principe e sul Regno. Il cuore della serie è la descrizione del potere, come lotta costante per il suo mantenimento, in cui ogni crisi, dalla più piccola alla più grande, ne svela il vero volto, quello della violenza e della paura: per questo, è un peccato che non si siano scelte strade narrative più coraggiose, che scavassero davvero a fondo nel potere e nella politica, limitandosi allo scacchiere consueto e ponendo un filtro conservatore al racconto. A Kingdom e ai due Kim non interessano i risvolti attuali della politica, ma la sua messa in forma e costruzione narrativa, così usano i metodi del classicismo e neo-classicismo: una cadenzata costruzione romanzesca capace di descrivere, prima di raccontare, l’andamento picaresco fatto di investigazione e pericolo, la pulizia estetica e la cura professionale della produzione.
Intrattenimento di altissimo bordo, come il cinema di genere sudcoreano garantisce da quasi un ventennio, che però fatica a esprimere il suo potenziale e a superare i limiti dei generi scelti – come invece le punte alte del cinema sanno fare -, non solo per la comoda scelta narrativa, ma anche per il modello produttivo che lo finanzia e distribuisce e che i Kim non riescono – o non vogliono – mettere davvero in crisi, come invece servirebbe ogni tanto. Per provare a sconfiggere gli zombie del potere.
Kingdom [Corea del Sud 2019 – in corso] IDEATORI Kim Eun-hee & Yang Kyung-il (da un loro romanzo) e Kim Seong-hun.
CAST Ju Ji-hoon, Ryu Seung-ryong, Bae Doona, Kim Sang-ho.
Horror/Storico, durata 36-56 minuti (episodio), stagioni 2.