Android Park
La realizzazione di un sogno, riuscire a creare la vita artificialmente e controllare la stessa per il gusto di metterlo a disposizione in un parco di divertimenti. Potrebbe sembrare Jurassic Park, ma non lo è nonostante la matrice letteraria sia la medesima, Michael Crichton.
Westworld racconta di un mondo popolato da androidi e ambientato nel far west, luogo selvaggio dove i turisti possono rivivere senza freni ogni tipo di esperienza di quel periodo. Sesso e violenza, Westworld diviene per molti luogo dove sfogare il proprio sadismo senza freni, fare proprie senza remore le creature artificiali che vivono all’interno. Come per il misterioso uomo in nero, cliente che ha vissuto qualsiasi narrazione all’interno del parco, ma non ancora quella più oscura e nascosta, il raggiungimento del centro del Labirinto, un messaggio segreto lasciato da Arnold, uno dei due creatori. È difficile pensare che all’interno di un parco in cui tutto è controllato fino ai minimi dettagli, monitorato da lontano dalla sala di controllo, e nella quale vivono lotte interne tra programmatori e la sicurezza, esistano angoli bui in cui narrazioni passate si infiltrino nelle maglie di una macro-narrazione, e dalla quale gli androidi rispondono seguendo un copione di possibili reazioni ben definite. Cosa succede però se il secondo creatore (un John Hammond estremamente consapevole del proprio operato) di questo immenso parco inserisse un firmware negli androidi che li rendesse in grado di ricordare in parte il proprio vissuto? Se il loro mondo si scopre essere solo un enorme set fasullo e bugiardo in cui il loro dolore è l’unico protagonista? C’è chi si ribellerà violentemente (Maeve), e chi, più filosoficamente, andrà alla ricerca di ciò che è reale all’interno di questo mondo (Dolores). C’era tanta attesa per Westworld, sia per la sontuosa messa in scena e il cast coinvolto, ma soprattutto per la prima prova da solista di Jonathan Nolan (showrunner con Lisa Joy) lontano dal fratello Christopher. Il risultato è interessante, ma lo è soprattutto a livello teorico. Westworld trova la sua chiave di lettura nella creazione di un mondo in cui la nuova frontiera del coinvolgimento emotivo e ricreativo si ottiene nella commistione delle tre forme d’intrattenimento più importanti ad oggi: l’immersività di un mondo che è prima di tutto un paradigma, il western come genere cinematografico per eccellenza, che si fonde con la narrazione espansa seriale (che nel caso di Westworld non è solo temporale ma diviene spaziale), in aggiunta ad un coinvolgimento diretto e modulare delle azioni dell’utente, tanto da sembrare più un videogame che ha scavalcato la parete del monitor per diventare puramente fisica. Westworld insomma diviene una serie teoricamente pregna, ma in minor parte a livello drammatico, vivendo di alti e bassi, forse per paura di centellinare troppo le informazioni. Nonostante ciò la serie innegabilmente provoca una fascinazione per un mondo laccato in superficie ma allo stesso tempo selvaggio e brutale, nascondendo al suo interno i germi di un inevitabile crollo.
Westworld – Dove tutto è concesso [Westworld, USA 2016 – in corso] IDEATORI Jonathan Nolan, Lisa Joy.
CAST Evan Rachel Wood, Anthony Hopkins, Ed Harris, Thandie Newton.
Fantascienza, durata 55 minuti (episodio), stagione 1.