Un tourbillon di musica, colori e ballo
Una giostra di colori, una pista su cui l’hip hop e il rap muovono i primi passi a ritmo indiavolato. Il Bronx sporco e cattivo, piegato e piagato dall’ingiustizia americana anni ’70. Treni su cui troneggiano graffiti pieni di senso, motivatori e modellatori della materia (diventano titoli di puntata). Un amore complicato e la speranza di cambiare la propria condizione.
Queste sono le spinte da cui nasce The Get Down (la prima stagione è divisa in due parti; la prima, di sei episodi, è stata pubblicata il 12 agosto), l’ultima serie Netflix, ideata da Baz Luhrmann, regista poliedrico e ricco di sfaccettature. L’ultima fatica del controverso autore che narra la nascita di hip hop, punk e disco music ha tutte le caratteristiche del suo cinema, movimenti di macchina e inquadrature, mescola i generi e incatena lo spettatore in un eccessivo e fastoso ballo pieno di vita. La storia di Ezekiel e Mylene ha lo stesso sfavillio di luci e colori di Il grande Gatsby, l’amore doloroso e complicato è lo stesso di Romeo + Giuletta, il “puoi uccidermi ma non mi sconfiggerai perché io ho l’amore” è una prosecuzione della fenomenologia dei sentimenti di Moulin Rouge!. Luhrmann si fa strada nelle anime dolenti e sognanti di Zeke (paroliere sensibile e rapper pieno di talento) e Mylene (tesa a diventare cantante), assieme a quelle di Shaolin Fantastic, Marcus, Ra Ra, Boo Boo: tutti loro sono fuochi d’artificio in una notte oscura, soffocante e asfissiante (si pensi al blackout del ’77, nel terzo episodio). Briciole di bagliori e speranza, con il loro entusiasmo puro e vero, i personaggi animano la “pista”, con il get down danno ritmo (hip hop) alla voglia di diventare qualcuno, con le esplosioni colorano (graffiti) le macerie e la polvere, intonano inni di pace in una terra ingiusta (le parole di Zeke, la voce di Mylene). La musica non è soltanto colonna sonora, è forza salvifica, simbolo di una cultura, voce narrante che plasma la realtà, amplificatrice dei più impercettibili battiti di ciglia. I due innamorati sono motore della storia, sostengono la narrazione, le loro vicende corrono parallele, si incrociano, i loro baci e le loro liti modellano gli episodi. Il regista si infrange nei sogni dei personaggi, prende per mano lo spettatore e lo conduce in quel lussurioso e gramo spettacolo che è il Bronx. Si esplorano le luci e le ombre di una terra, l’America, piena di contraddizioni dolorose (basta superare la “zona d’ombra” ed ecco i grattaceli, le luci, lo scintillio), manichea già nel suo ventre – disoccupazione, criminalità, spaccio, caldo asfissiante mettono in ginocchio i suoi abitanti –, gettando lo sguardo su uomini e donne a pezzi ma dotati di virtù. Questa prima parte di The Get Down, ricostruita con perfezione certosina, è uno splendido tourbillon in cui ci si deve lasciar andare per godere appieno di un perfetto mix di incanto e miseria.
The Get Down [id., USA 2016] IDEATORI Buz Luhrmann, Stephen Adly Guirgis.
CAST Shameik Moore, Justice Smith, Herizen Guardiola, Yahya Abdulm, Jaden Smith.
Period Drama/Musical, durata 56 minuti (episodio), stagioni 1.