“What do you think gods do?”
Dopo anni di attesa e il passaggio da HBO a Starz, l’acclamato romanzo American Gods di Neil Gaiman è finalmente diventato una serie tv. Sotto la guida di Bryan Fuller (Hannibal) e la supervisione dell’autore britannico, l’America abitata da dèi di ogni religione in carenza di fedeli, insidiati dalle nuove divinità tecno-mediali, prende vita in otto episodi inquietanti e barocchi.
La serie riesce a restituire la spiritualità molto terrena mischiata a tematiche profondamente americane (prima tra tutte l’immigrazione) tipica del libro, aggiungendo altri personaggi e innalzando il livello del mistero – bisogna aspettare l’ultimo episodio perché Mr. Wednesday tuoni il proprio vero nome. A partire dal reclutamento di Shadow Moon, ex galeotto, neo-vedovo, da parte di Mr. Wednesday, American Gods sceglie un incedere lento, tra elementi ricorrenti e continue deviazioni: molti episodi cominciano con un’introduzione dedicata a una divinità, dal suo mito originario all’arrivo in USA, accompagnata dalla voce narrante senza tempo di Ibis, mentre i due protagonisti si imbattono in incontri assurdi e squarci di violenza inspiegabili per Shadow, con la cui incredulità crescente siamo chiamati a sovrapporci. L’idea fondamentale del libro naturalmente rimane: gli dèi esistono perché le persone vi credono (“believing is seeing”, dice Wednesday), e gli dèi sono tanti quanti l’immaginazione è in grado di concepire (esilarante l’affollamento dei Gesù, uno per ogni concezione del Cristianesimo). Non solo divinità vecchie – Bilquis, Anubis, Ostara – e nuove – Mr. World, Technological Boy, Media, che gli autori hanno avuto l’accortezza di aggiornare tenendo conto dei quindici anni passati dalla pubblicazione del libro – ma anche jinn e leprecauni ubriaconi. L’accumulo apparentemente disordinato di elementi, il passaggio continuo tra mitologia e viaggio on the road sono efficacemente riportati sullo schermo con tutto il loro carico di ironia e i riferimenti ai sempiterni orrori americani (l’ossessione per le armi, il suprematismo bianco, la caccia al clandestino). L’elemento distintivo della serie è l’apparato visivo, denso ed eccessivo, antirealistico e cupo, punteggiato di slanci splatter e schizzi rosso sangue, uno stile visuale già associato allo showrunner Fuller. Qui le superfici liquide e riflettenti diventano espansioni dell’universo imperscrutabile che i quattro bordi dello schermo non sono sufficienti a contenere. Ben due puntate sono dedicate alla sola Laura Moon, la moglie-zombie di Shadow che nel libro rimane più in secondo piano; alla fine si ha l’impressione che otto episodi siano un po’ pochi, e che la serie ci lasci lì, sospesi sull’orlo dello scontro, proprio quando la posta in gioco si fa più chiara e gli schieramenti si dispiegano nella loro potenza.
American Gods [id., USA/Gran Bretagna 2017] IDEATORI Bryan Fuller, Michael Green (tratta dall’omonimo romanzo di Neil Gaiman).
CAST Ricky Whittle, Ian McShane, Emily Browning, Gillian Anderson, Crispin Glover, Peter Stormare.
Fantastico/Drammatico, durata 50/60 minuti (episodio), stagioni 1.